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giovedì 1 febbraio 2018

Il '68 ... un anno prima, Palazzo Campana Torino (capitolo V)

Il ciclo di occupazioni della sede delle facoltà umanistiche di Torino ha inizio il 27 novembre 1967, in seguito ad una mobilitazione nata nella settimana precedente in segno di protesta per un provvedimento di edilizia universitaria in discussione nel consiglio d'amministrazione dell'ateneo. La proposta del rettore Mario Allara prevedeva l'acquisto di un area periferica per realizzare un ampliamento significativo delle sedi universitarie, opera che avrebbe dovuto far fronte al costante incremento delle immatricolazioni universitarie cui anche l'ateneo piemontese era sottoposto. Il progetto di acquisto de La Mandria aveva incontrato non poche resistenze, non solo quelle opposte dagli studenti. Gli universitari in agitazione ritengono che lo scorporamento delle facoltà umanistiche e la delocalizzazione che ne sarebbe seguita avrebbe privato gli studenti di vantaggi pratici e culturali che solo il contatto con il centro storico della città poteva garantire, anche in considerazione del fatto che l'ateneo non si dislocava all'interno di una tradizionale città universitaria – non aveva cioè un campus comune per tutti gli iscritti – ma manteneva in qualche modo una sua coerenza e continuità sfruttando alcuni storici palazzi settecenteschi, tutti situati nella zona centrale di Torino.
L'assemblea degli studenti torinesi, riunita il 27-11-1967, individua il principale ostacolo frapposto all'organizzazione autonoma degli studenti nella struttura autoritaria della scuola italiana; riconferma lo stato di agitazione ad oltranza in tutte le facoltà di Torino, e proclama l'occupazione di Palazzo Campana sulla base delle proposte politiche e organizzative emerse dalle assemblee; individua nella contestazione dei metodi didattici dell'insegnamento accademico, che dietro la maschera della neutralità della scienza e della cultura instilla negli studenti la mentalità autoritaria propria delle autorità accademiche, il principale obiettivo della lotta degli studenti. In pratica, l’occupazione della facoltà ha avuto inizio al termine dell’assemblea: è stato chiuso uno degli accessi a Palazzo Campana, mentre gli studenti sostavano all’altro ingresso impedendo l’accesso ai professori e docenti, sì che l’attività didattica è stata sospesa. 
È inevitabile che il discorso che noi portiamo avanti si collochi al di fuori della logica dei partiti. Innanzitutto per la carica eversiva che scaturisce da una contestazione violenta che mette in crisi una delle strutture portanti della società: la scuola. In secondo luogo, ci poniamo al di fuori del dibattito politico tra i partiti perché abbiamo rifiutato ogni ipoteca ideologica e ci dedichiamo a un lavoro di mobilitazione di massa. Noi contestiamo la società partendo da una struttura ben definita, nella quale siamo inseriti. Invece il tipo di scontro che avviene tra i partiti è essenzialmente ideologico, astratto: avviene al di fuori di ogni movimento, studentesco o operaio, capace comunque di dare concretezza al dibattito.”
(Studenti di Palazzo Campana)
Gli universitari di Torino hanno organizzato dei «contro-corsi», dove gli studenti si amministrano da soli un’istruzione solitamente dispensata da un establishment culturale e accademico inerte e pago dei suoi privilegi feudali. Gli studenti di Torino chiedono la fine di un sistema istruttivo che non insegna niente, ma si arroga il diritto dell’ex-cathedra, del giudizio di una tantum sulla salute mentale dello studente, della «dolce vita accademica». Torino ci fa comprendere che la Bolivia è qui.
 il 27 novembre 1967 cominciava qualcosa di radicalmente nuovo. Cominciava il Sessantotto.  All’occupazione parteciparono anche i cattolici, anche i liberali, senza rinunciare per questo alla loro identità politica. Mentre c’erano comunisti iscritti che la criticavano come piccolo borghese. Questa trasversalità, questa mescolanza sono stati i grandi caratteri del movimento sessantottino. Si manifestava contro il Vietnam ma si amava il cinema americano. Nella stessa persona potevano convivere la suggestione per la non violenza gandhiana e l’ammirazione per come sparavano i guerriglieri. Palazzo Campana nasce come contestazione anti-accademica, che prende di mira l’autoritarismo dei professori e mette in discussione la struttura didattica, i contenuti dell’insegnamento e i criteri degli esami, come affermava il documento approvato dalle assemblee di facoltà e inviato per posta a tutti i docenti di Lettere e Filosofia, Scienze politiche, Magistero e Giurisprudenza. L’occupazione durò fino al 27 dicembre, quando ci fu il primo sgombero. Gli studenti si erano attrezzati con brandine, avevano un ciclostile che funzionò ininterrottamente. Dopo il primo sgombero ci furono altre occupazioni. Spesso duri gli scontri coi professori: vedere il rettore Mario Allara, che teneva in pugno l’ateneo da vent’anni, salire lo scalone fra due file di studenti bianco come un lenzuolo dava il segno della lotta. Numerose le denunce. Luigi Bobbio e Guido Viale sono arrestati. “C’era il piacere della dimensione collettiva – ricorda Marconi –. Il piacere di vivere dentro l’università: mangiare, dormire, ciclostilare i manifesti, parlare coi giornalisti, seguire i contro-corsi, suonare la chitarra. Questa quotidianità era il luogo di formazione del movimento, molto di più delle rituali assemblee con nove centimetri di spazio a testa. Come in tutti i movimenti di massa c’era gente che non faceva nulla, ma ciò che contava era lo stare lì. C’era anche una serie di persone che muovevano da una condizione di infelicità individuale, per cui il collettivo significava un riscatto”.

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