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giovedì 1 febbraio 2018

CITY OF GOD di Fernando Meirelles

Un intrico di vicoli fatiscenti, strade sterrate, fogne a cielo aperto, baracche e casupole poverissime. Nessuna struttura pubblica, nessun presidio di Polizia, nessuna attività culturale, City of God è un universo a parte, un autentico ghetto dove regna un feroce clan che controlla ogni cosa ed ogni movimento, e in primo luogo il fiorente e tragico traffico di droga. Buscapè è un giovane estraneo a tutto ciò; è timido, insegue delicatamente l’amore di una donna, e vuole a tutti i costi diventare un fotografo professionista. E ci riuscirà partendo dal gradino più basso, cioè iniziando a lavorare come fattorino dentro un grande quotidiano. Solo casualmente gli capiterà di riprendere con la sua macchina un furibondo scontro tra cosche rivali che provocherà molti morti. Sarà il servizio che gli cambierà la vita, per sempre.
L'antitesi del buon Buscapè è rappresentata da Dadinho, bambinetto dal carattere dominante e violento, che riuscirà nella scalata alla malavita locale, divenendo, a suon di omicidi,  il più temuto criminale della città, con il soprannome di Zè Pequeno.
Bambini, amanti e male amati, assassini adolescenti assassinati, nella Città di Dio, una delle più degradate favelas di Rio de Janeiro. L’occhio che guarda è di Buscapè, una sorta di alter ego di Paulo Lins, autore del romanzo omonimo da cui il film è tratto, anch’egli figlio di Cidade de Deus e della violenza che vi regna sovrana. Buscapé non è il protagonista dell’opera,  l’attraversa raccontandoci la nascita del crimine organizzato e lo sviluppo del narcotraffico in questa favela dalla fine degli anni sessanta all’inizio degli anni ottanta. Il suo sguardo, proprio come l’inseparabile macchina fotografica, sua unica alleata, immortala gli amori, le vite, le morti e i (piccoli) miracoli come il suo: riuscire a sopravvivere e a realizzarsi in un mondo dai destini già segnati, condannati alla delinquenza e ad una morte prematura.
Fernando Meirelles, similmente al romanzo, divide l’opera in tre parti, tre fasi temporali distinte per tre stili diversi. La prima parte racconta la storia del “Tender Trio”, ambientata
negli anni sessanta, al ritmo della samba. Evoca una sorta di criminalità romantica, una certa innocenza giovanile espressa attraverso uno stile piuttosto classico, fatto di camera fissa e carrellate. La seconda si svolge agli inizi degli anni settanta. È la storia di “Zé Pequeno”: gli affari cominciano a crescere col traffico di droga. Tanti colori acidi, lisergici, una macchina da presa più libera, un montaggio più sciolto, meno serrato, un’atmosfera psichedelica, con l’aria densa di pop e musica nera. L’ultimo capitolo è riservato alla guerra per il controllo del narcotraffico. Siamo negli anni ottanta ed è l’episodio di “Manè  Galinha”: monocromatico, agitato, veloce e caotico, figlio della cocaina. Montaggio frastagliato e discontinuo, ritmo affannoso, con panoramiche veloci e macchina fuori fuoco, vibrazioni heavy metal.
La spettacolarizzazione del degrado rasenta l’immoralità, l’estrema violenza della pellicola trascina lo spettatore sull’orlo dell’abisso senza fondo del male. Ne è uscito un film convulso e vorticoso, ma anche imprevedibilmente poetico e denso di riflessioni non solo socio-politiche ma anche psicologiche. Nessuno è sottoposto a giudizio moralistico, l’obiettivo cinematografico si limita ad esporre una realtà passandola attraverso il filtro della creatività e della manipolazione visuale. L’obiettivo principale del film, al di là dell’intento documentaristico, è di mostrare come questi bambini in quel particolare ambiente siano esposti al rischio di perdere una delle innate qualità dell’essere umano: la libertà di scelta.

2 commenti:

  1. Lo vidi la rima volta su uno speciale che fece La7 in seconda serata che lo mandò in prima visione (sempre se la memoria mi assiste). Una di quelle opere che disorienta, "sconvolge" e che sa imprimere il giusto piacere con il suo stile ipercinetico e pop da videoclip. Tanta roba!

    Ismāʿīl

    P.s. Centra niente con il post in questione ma ne approfitto di questo spazio per complimentarmi con il vostro approfondimento sui movimenti (e non solo a vedere il mare magnum di etichette). Alla prossima!

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    1. Grazie molte si il film è particolare e lascia il segno, un abbraccio

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