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giovedì 28 dicembre 2017

Quarant’anni fa … il ’77 (capitolo XXXVIII)

Bologna Convegno Internazionale contro la Repressione
TESTIMONIANZE

Ho partecipato al convegno di Bologna, siamo partiti da Ostia. Abbiamo dormito tutti e tre i giorni all’interno dell’Università, forse a Lettere. Ricordo grandi passeggiate nel centro di Bologna e poi gli scontri del terzo giorno. Scontro fra i compagni, grosse tensioni e un senso di sconfitta. Sì, perché si andava lì nella speranza di trovare comunque, all’interno del movimento, un progetto comune, qualunque esso fosse. Invece il risultato è stata una spaccatura che ha determinato un indebolimento, oggettivo, del movimento.
Una spaccatura tra un’anima attenta alla necessità dell’organizzazione e un anima più pressappochista, più, come dire, anarchica. Idealista, forse. Tutto questo per il movimento è stato un colpo quasi mortale.
(Roberto, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)
Del convegno a Bologna, ricordo innanzitutto il controllo esercitato dalla Federazione del Partito Comunista, che picchettava le sedi e le abitazioni dei compagni conosciuti che in quell’occasione chiaramente ospitavano compagni venuti da fuori. La posizione del PCI era di apertura controllata, ma molto controllata, più controllo che apertura. Comunque con l’intenzione di non provocare scontri, ma di stare pronti a qualsiasi evenienza e tenere sotto controllo i compagni e quello che succedeva. Qualche “spesa proletaria” c’era, io oltre a qualche tortina in una pasticceria non sono andato, anche se ho rimpianto il fatto di non poter cenare pure io al “Cantunzein”. Per quanto riguarda le assemblee al Palasport, mi ricordo che fu deciso che il servizio d’ordine venisse affidato a Lotta Continua locale. E che tutti si entrava disarmati, sotto ogni punto di vista, all’interno dell’emiciclo del Palasport. E appunto, l’ordine era garantito da questi di Lotta Continua. Be’, si, forse qualche schiaffone è volato. Magari quando interveniva Boato, molti insulti e qualche schiaffone. Di peggio non è successo. La componente maggiore al Palasport era l’autonomia, della destra del movimento, in particolare, mi ricordo di Boato, un suo intervento subissato dai fischi. Accolti non bene neanche Bifo, i traversali, questo colore che c’era, perché poi si tendeva ad esulare dai temi scottanti del dibattito, che erano in campo, e si faceva un po’ di colore. Con questo non voglio essere sprezzante con Guattari, i nouveaux philosophes e via di seguito, ma mi sembrava che il problema della trasversalità del linguaggio fosse un po’ a latere rispetto all’emergenza di tanti altri problemi. (Il movimento è un po’ morto a Bologna), diciamo che i più avveduti si resero conto che da lì grossi processi unitari non sarebbero usciti. Infatti non a caso penso che poi si innescano i cosiddetti  “cento giorni della lotta armata”. Vista anche l’impossibilità di procedere a un processo unitario rispetto a queste componenti. Poi, di colore, ci fu l’episodio del MLS che tentò di entrare armato di spranghe nell’emiciclo, come il suo solito. Con il risultato che si presero una grossa paura, perché trovarono posizioni morbide all’entrata, nell’emiciclo, sbaragliarono i compagni che tentavano di opporsi. Lotta Continua non intervenne o comunque non aveva intenzione di procedere perché questi erano comunque armati di spranghe. E allora intervenimmo noi romani e ci distribuimmo un adesivo, che era “Sturmtruppen” mi pare. E armati soltanto di questo adesivo e dell’inflessione del dialetto romanesco li affrontammo con grida poco politiche, tipo “figlio di puttana ti rompo il culo”. Questi insulti in romanesco furono positivi, perché ottennero l’effetto sperato, infatti questa colonna di servizio d’ordine di tozzi e cattivi e combattivi cominciò a retrocedere, fino a uscire fuori e schierarsi poi, sempre in modo provocatorio, ma lontano.
(Claudio, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)

Direi che la fine del movimento ’77 la daterei al convegno di Bologna. Come cause indicherei: la mancanza della capacità
organizzativa di questo movimento. La mancanza di un progetto. Incapacità di fare un salto in avanti a questo movimento.
(Federico, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)

Questo sino ai famosi tre giorni di convegno a Bologna, in cui Bifo a modo suo decretò lo scioglimento del movimento; apprendemmo la notizia in piazza Maggiore, Bologna era invasa da capelli lunghi, facce colorate, gonne a fiori, sacchi a pelo; i portici somigliavano a dormitori pubblici. I bolognesi erano aperti al dialogo, il tempo era bello, ed eravamo tanti, ma tanti, tanti tanti tanti, e quando arrivò la notizia che si era creata una frattura insanabile tra l’area creativa e l’ala dura, penso che ci cedettero in pochi. Tutti quei compagni, che decretavano la fine del movimento perché c’era troppa disgregazione, non sembrava possibile. Dopo di allora è stato un lento declino, gli indiani si ritirarono nelle riserve e l’autonomia diede il via a quel po’ di casino che è successo dopo. 
(Fiorella, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)


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