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giovedì 4 maggio 2017

IL DIARIO DI UNA CAMERIERA di Luis Bunuel

Celestine è una cameriera, giovane ma già esperta della vita: dopo essere stata per molti anni al servizio di una contessa, a Parigi, si trasferisce presso una famiglia dell’alta borghesia di provincia, i Monteil. La sua nuova padrona è una donna acida e bigotta. Corre voce che sia perfino frigida. Suo marito conta ben poco in casa: passa il suo tempo andando a caccia e correndo dietro alle sottane delle serve. Ci prova anche con Celestine, ma senza successo. Insieme ai due Monteil vive il padre di lei, il signor Rabour, un vecchio feticista che ha una formidabile collezione di scarpe femminili. Completa il quadro di questo solido ambiente il giardiniere Joseph, un individuo poco raccomandabile, che milita nelle organizzazioni di destra. Nella villa accanto vive un vecchio ufficiale a riposo, il capitano Mauger, un uomo sinceramente triviale, che mostra tutto il suo disprezzo per i vicini scaricando oltre il muro divisorio la sua immondizia.
Alla morte del vecchio Rabour, Celestine vorrebbe lasciare il servizio. Ma quando apprende che una bimba che ella conosceva è stata violentata e uccisa nel bosco, decide di restare finché non avrà scoperto il colpevole.
Il fascino che trasuda dalla vicenda, esprimendosi in manifestazioni aggressivamente palesi nel giardiniere criminale, nell’assoluzione dei tribunali benpensanti, e tingendosi di colori caricaturali nel sagrestano segaligno, non è un elemento che artificiosamente il regista Luis Bunuel sovrappone al romanzo di Mirbeau (Le Journal d’une femme de chambre), datandone lo svolgimento una trentina di anni dopo. È piuttosto la logica conseguenza di una regola prepotente e immorale che affratella la remissività degli sconfitti, l’assenso passivo di quanti vagano ai confini della storia, l’adesione canagliesca a uno spirito di rivincita, che deriva dagli estremi sussulti di una borghesia istericamente
decisa a non arrendersi.
Il diario di una cameriera è probabilmente il film più apertamente antifascista di Luis Bunuel: era una questione più che mai personale, che alla solita ferrea volontà di porre l’accento, esponendo al ludibrio, su tutta l’ipocrisia di una classe borghese brulicante di vizi, appetiti inconfessabili e sprezzo per il prossimo, vedeva una necessità intima di combattere contro il patriottismo deviato, la xenofobia e l’arroganza di Stato con cui la Spagna di Francisco Franco perseguitava impunemente i dissidenti e gli artisti.
Intervistato sul film, Bunuel dichiara:”Con il diario di una cameriera ho voluto compiere un’introspezione sulla mentalità e la moralità della borghesia francese della provincia, negli anni intorno al ’30. La morale borghese è per me l’immorale contro cui bisogna combattere. Vi sono alcune scene, nel film, che porteranno ancora una volta il pubblico a dire che io sia un regista violento. Non credo di esaltare né la violenza né la crudeltà. Ma se per mezzo della violenza si può scoprire qualcosa, ebbene allora sono un violento. Violenza e scandalo permettono di raggiungere il cuore della gente. Il contatto migliore con il pubblico lo si stabilisce attraverso le emozioni. Per quanto riguarda il film, penso che contenga molti temi che mi sono più naturali e che riflettono i miei interessi più autentici” 

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