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giovedì 1 dicembre 2016

L’anarchia non è cosa del futuro

Il cammino della rivoluzione procede per rotture tra vecchio e nuovo, non è un percorso lineare, procede a salti, a volte considerabili positivi, in avanti, altre volte negativi, indietro, rispetto a quel processo di mutazione culturale critica e libertaria.
L’anarchia si deve costruire nel nostro vissuto senza aspettare l’evento rivoluzionario, poiché non esiste un solo grande potere da abbattere. Il potere come ci ricorda Michel Foucault non occupa un luogo unico privilegiato, né dipende da un unico soggetto identificabile una volta per tutte. Lo stato, le leggi, le egemonie sociali sono soltanto effetti e manifestazioni sul piano istituzionale di rapporti e strategie di potere. Il potere è, invece, anonimamente diffuso ovunque; è onnipresente e dappertutto, non perché inglobi tutto, ma perché viene da ogni dove. Il potere coincide con la molteplicità dei rapporti di forza, che variamente si intrecciano e si contrappongono. E’ una relazione fra individui e la società è attraversata da rapporti di potere: ogni rapporto sociale è un rapporto di potere.
Non ha senso parlare di stato come luogo dei rapporti di dominio, poiché i rapporti di dominio sono ovunque. Non ha più senso parlare di re, poiché i re stanno nelle famiglie, nei conventi, nelle fabbriche e nelle scuole. Siamo tutti agenti di regolazione sociale, tutti ci controlliamo reciprocamente; lo stato diventa un sistema di relazioni. 
Quindi essendo il potere qualcosa di disperso in tanti rapporti, a livello personale e politico, teorico e materiale, una rivoluzione tradizionale non ha senso non essendoci alcun palazzo da conquistare, al fine di eliminare gli effetti del potere e costruire una società trasparente. Fondamentale per un rivoluzionario è il lavoro costante tra la gente per combattere il dominio, cioè quel sistema di potere che è monopolio solo di una parte della società; è necessario un lavoro lungo e profondo di delegittimazione dell’autorità, per riuscire a rompere le asimmetrie nelle relazioni funzionali scatenando dal basso un inizio di mutazione culturale sotto forma di resistenza e attacco. Perché abbattere lo stato, non risolverebbe il problema del dominio, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sugli animali e sulla terra, senza un profondo e continuo lavoro di mutazione culturale nelle reti di rapporti fra esseri umani si ricreerebbe un nuovo dominio solamente con una veste nuova, come è successo in tutte le rivoluzioni del 900, che hanno avuto un intento totalizzante e si sono affidate a modelli di mutamento sociale autoritari e statuali. L’anarchia non è cosa del futuro, ma del presente; non è fatta di rivendicazioni ma di vita. Una vita che non attende il giorno della rivoluzione, o meglio che vede la rivoluzione come qualcosa in perenne movimento e aperta al cambiamento durante il suo percorso. Una concezione della rivoluzione come processo e non solo come evento. 

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