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giovedì 3 novembre 2016

Gli individualisti di Emile Armand

Gli individualisti sanno che gli accumulatori di capitali e gli intermediari non si preoccupano affatto dei bisogni reali del consumo. Essi hanno come unico motore la speculazione, ossia il desiderio di far rendere il più possibile l’interesse sui fondi che impegnano nelle aziende che dirigono o di cui si occupano. Gli accumulatori di capitali e gli intermediari attivano o riducono la produzione non secondo l’aumento o la diminuzione del movimento del consumo, bensì solo se vi intravvedono un’occasione di acquisire profitti più o meno considerevoli. La qualità della produzione dipende interamente dal potere di acquisto dei consumatori e non dai loro bisogni: a consumatore agiato, prodotti di qualità superiore; a consumatore povero, prodotti di qualità inferiore.
Gli individualisti non ignorano che il lavoro attuale si compie senza metodo, caoticamente e sono al corrente della lotta accanita cui si abbandonano, gli uni contro gli altri, i grandi detentori dei mezzi di produzione, così mentre una massa di diseredati manca degli oggetti di consumo più necessari, i magazzini rigurgitano di prodotti manifatturieri!
Gli individualisti non ignorano nemmeno che la maggior parte degli operai, dei lavoratori delle fabbriche, delle officine, dei campi, degli impiegati di commercio, d’ufficio, dell’amministrazione, accettano il loro stato e non fanno nessuno sforzo reale per liberarsi, soddisfatti dei pregiudizi correnti sulla fortuna, sul rispetto che merita ogni arrivista, imbevuti di concetti retrogradi sull’accaparramento, il padronato, i monopoli, ecc. Sono schiavi di pregiudizi morali e intellettuali che mirano al mantenimento di cose stabilite e che costituiscono la base dell’insegnamento di Stato. Impauriti dalla minaccia di un licenziamento o della disoccupazione, gli infelici producono, non avendo altro scopo nella vita che passare inavvertiti, fortunati quando lo stress o il disgusto non li portano all’alcolismo o a un’altra forma di «degradazione».
L’individualista è dunque, di principio, l’avversario di ogni sistema societario in cui il lavoro sarà obbligatorio, imposto, costretto, in cui, rispetto all’ambiente sociale, il lavoratore si troverà in una dipendenza grande quanto quella in cui si trova attualmente nei confronti del capitalismo.
Perché il lavoro diventi piacere, deve perdere tutto ciò che lo fa assomigliare a una pena, a una condanna, a una espiazione, a una legge, a un’oppressione, a una soggezione, persino una sublimazione o una esaltazione mistica della fatica. Aspettando che si affermi la mentalità generale indispensabile per fare del lavoro una gioia positiva e liberatrice, all’individualista come noi lo intendiamo – solo o associato – non resta che darsi da fare per risolvere la «sua» questione economica. Al di sopra dell’interesse economico, l’individualista metterà la soddisfazione etica, il
perseguimento della serenità interiore, il godimento del piacere dei sensi. Nessuna soddisfazione varrà per lui quanto quella di sentirsi il più possibile liberato dall’assoggettamento produzione-consumo. La questione non è di sapere se l’impiego di un macchinismo sempre più perfezionato, il lavoro intruppato, la pratica del comunismo imposto o del solidarismo obbligatorio gli procureranno più vantaggi materiali – ma piuttosto cosa diventerà in quanto unità individuale, cosciente, insubordinata, pensante tramite e per se stessa.
L’individualista vuole vivere, certo, ma «liberamente». 
Il lavoro, d’accordo, ma come generatore di libertà individuale, non come fattore di schiacciamento dell’uno sotto il laminatoio societario.

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