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giovedì 18 agosto 2016

Crimethlnc: le gerarchie decentrate

Ma che significa gerarchie decentrate? Sembra una specie di koan zen. La gerarchia è la concentrazione del potere nelle mani di pochi. Come può essere decentrata? Per capirne il senso, occorre tornare alla concezione di Foucault del panopticon. Jeremy Bentham progettò il panopticon come modello per rendere più efficienti le carceri e i luoghi di lavoro; si tratta di un edificio circolare, nel quale tutte le stanze si affacciano su un cortile interno, in modo da poter essere viste da una torre di osservazione centrale. I detenuti non possono vedere ciò che accade nella torre, ma sanno di poter essere osservati dal suo interno in qualsiasi momento, sicché alla fine interiorizzano questa forma di sorveglianza e di controllo. In parole povere, il potere vede senza guardare, mentre l’osservato guarda senza vedere. Panopticon Nel panopticon il potere ha già sede in periferia, piuttosto che al centro, in quando il controllo è esercitato principalmente dai detenuti stessi. I lavoratori competono per diventare capitalisti, anziché fare causa comune come classe; i fascisti impongono autonomamente relazioni repressive, senza vigilanza da parte dello Stato. Il potere non è imposto dall’alto, ma in funzione della partecipazione stessa. Semplicemente prendendo parte alla società, dobbiamo accettare la mediazione di strutture determinate da forze al di fuori del nostro controllo. Per esempio, le nostre amicizie passano sempre più attraverso Facebook, i telefoni cellulari e altre tecnologie che tengono traccia delle nostre attività e delle nostre relazioni a vantaggio delle multinazionali, oltre che dei servizi di informazione del governo; questi format determinano anche il contenuto delle amicizie stesse. Lo stesso vale per le nostre attività economiche: al posto della semplice povertà, abbiamo posizioni debitorie e creditizie – non siamo una classe priva di povertà, ma una classe guidata dal debito. E, ancora una volta, tutto questo appare come spontaneo, o addirittura come «progresso». Come si prospetta l’idea di resistere in questo contesto? Le cose parevano molto più semplici nel 1917, quando i proletari di tutto il mondo sognavano di espugnare il Palazzo d’Inverno. Due generazioni dopo, l’equivalente sembrava essere prendere d’assalto le sedi delle emittenti televisive, una fantasia ripresa in un film di Hollywood non più tardi del 2005. Oggi è sempre più evidente che il capitalismo globale è privo di centro, di un cuore attraverso il quale drive a stake. In realtà, questa evoluzione è una manna per gli anarchici, in quanto sbarra la strada a forme di lotta attuate dall’alto verso il basso. Non ci sono scorciatoie, oggi, né giustificazioni per prenderle – non ci saranno più dittature «provvisorie». Le rivoluzioni autoritarie del Ventesimo secolo sono per sempre alle nostre spalle; se dovrà scoppiare la rivolta, si dovranno diffondere le pratiche anarchiche. Alcuni hanno sostenuto che, in assenza di un centro, quando il virus di cui sopra è molto più pericoloso dell’assalto frontale, il compito non è tanto scegliere il bersaglio giusto quanto pubblicizzare una nuova modalità di lotta. Se ciò non è ancora accaduto, forse è soltanto perché gli anarchici devono ancora mettere a punto un metodo che altri considerino pratico. Quando dimostriamo soluzioni concrete ai problemi sollevati dalla catastrofe capitalista, forse prenderanno piede. Ma è un percorso insidioso. Tali soluzioni devono risuonare ben oltre qualsiasi sottocultura particolare in un’epoca in cui ogni innovazione istantaneamente genera sottocultura e vi rientra. Devono in qualche modo rifiutare e interrompere le forme di partecipazione essenziali al mantenimento dell’ordine, sia quelle basate sull’integrazione sia quelle basate sulla marginalità. Devono rispondere ai bisogni immediati delle persone, e al contempo ispirare desideri insurrezionali che conducano altrove. E se proponiamo soluzioni che rivelano di non affrontare le cause alla radice dei nostri problemi – come facemmo dieci anni fa – non faremo altro che vaccinare l’ordine dominante contro la resistenza di questa generazione. Quando si tratta di soluzioni contagiose, magari come i disordini in Grecia nel 2008, durante i quali tutte le banche cui fu dato fuoco erano meno significative della pratica quotidiana in Grecia di occupare edifici, impossessarsi delle provviste alimentari e ridistribuirle e radunarsi in pubblico al di fuori della logica del commercio. O forse i tumulti furono altrettanto significativi: non solo un attacco materiale contro il nemico, ma una festa in cui si afferma un modo radicalmente diverso di esistere.


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