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giovedì 21 luglio 2016

La crisi della città e la degradazione dell’ambiente naturale

Solo dopo la guerra, in corrispondenza con l’avvio della più grande fase di espansione economica capitalistica della storia, Bookchin assume decisamente dei punti di vista libertari, anarchici ed ecologici. Bookchin tenta di rifondare una valida teoria critica del capitalismo che stava penetrando in maniera sempre più invadente e distruttiva in tutti gli ambiti della vita sociale. Due sono i terreni di riflessione che Bookchin individua a dimostrazione delle evidenti potenzialità distruttive dello sviluppo capitalistico: la crisi della città e la degradazione dell’ambiente naturale.
La potente trasformazione della città avviatasi agli inizi del ‘900, dalla quale hanno origine, come sostiene anche Mumford, le prime metropoli – ambienti urbani che si strutturano attorno ai ghetti e che si riproducono sulla base di separatezze, antagonismi e campanilismi - è il primo evidente processo di dissoluzione di un’antica solidarietà che era profondamente radicata tra le classi popolari, tra gli operai ed i proletari dei quartieri storici cittadini, solidarietà basata essenzialmente su un agire e su rapporti essenzialmente comunitari.
Bookchin sostiene con forza che la coesione dei rapporti sociali si è fondata per lungo tempo sulla solidarietà, sul minimo irriducibile e sull’ usufrutto, concetti che potrebbero sostituire ancor oggi il nostro sacro concetto di possesso e di utilità. La fenomenologia della città ben rappresenta la regressione della comunità umana da consociazione liberamente scelta e fondata sul senso della socializzazione dell’agire politico, ad associazione sociale basata sull’interesse, sull’utilità e sulla delega allo stato della definizione della normatività sociale.
Una società gerarchica, sostiene Bookchin, ha una visione gerarchica anche della natura; ma allo stesso tempo l’idea di una natura organizzata in modo autoritario, gerarchico e competitivo rafforza gli istituti dominanti della stessa società. Per questo, a suo avviso, occorre che si ritorni ad una visione diversa della natura, ad una filosofia della natura oggettiva che ne riporti i preponderanti caratteri di solidarietà, ricchezza, mutualismo ed abbondanza. La società non può continuare a vedere la natura come una nemica dell’uomo. Le società organiche esprimevano questa idea di natura; le successive società basate sul dominio ne capovolgono l’originaria percezione. 

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