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giovedì 26 maggio 2016

Scritti sulla violenza di Malatesta Errico

Comizio di Errico Malatesta a Pisa, 31 gennaio 1920
Gli anarchici sono contro la violenza. È cosa nota. L’idea centrale dell’anarchismo è l’eliminazione della violenza dalla vita sociale; è l’organizzazione dei rapporti sociali fondati sulla libera volontà dei singoli, senza l’intervento del gendarme. Perciò siamo nemici del capitalismo che costringe, appoggiandosi sulla protezione dei gendarmi, i lavoratori a lasciarsi sfruttare dai possessori dei mezzi di produzione o anche a restare oziosi ed a patire la fame quando i padroni hanno interesse a sfruttarli. Perciò siamo nemici dello Stato che è l’organizzazione coercitiva, cioè violenta, della società. Ma se un galantuomo dice che egli crede che sia una cosa stupida e barbara il ragionare a colpi di bastone e che è ingiusto e malvagio obbligare uno a fare la volontà di un altro sotto la minaccia della rivoltella, è forse ragionevole dedurre che quel galantuomo intende farsi bastonare e sottomettersi alla volontà altrui senza ricorrere ai mezzi più estremi di difesa? La violenza è giustificabile solo quando è necessaria per difendere se stesso e gli altri contro la violenza. Dove cessa la necessità comincia il delitto. Lo schiavo è sempre in stato di legittima difesa e quindi la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore, è sempre moralmente giustificabile e deve essere regolata solo dal criterio dell’utilità e dell’economia dello sforzo umano e delle sofferenze umane. (“Umanità Nova”, 25 agosto 1921).

Questa rivoluzione deve essere necessariamente violenta, quantunque la violenza sia per sé stessa un male. Deve essere violenta perché sarebbe una follia sperare che i privilegiati riconoscessero il danno e l’ingiustizia dei loro privilegi e si decidessero a rinunciarvi volontariamente. Deve essere violenta perché la transitoria violenza rivoluzionaria è il solo mezzo per metter fine alla maggiore e perpetua violenza che tiene schiava la grande massa degli uomini. (“Umanità Nova”, 12 agosto 1920)

Noi siamo per principio contro la violenza e perciò vorremmo che la lotta sociale, finché lotta vi sarà, si umanizzasse il più che sia possibile. Ma ciò non significa punto che noi vorremmo che essa lotta sia meno energica e meno radicale, ché anzi noi riteniamo che le mezze misure riescono in conclusione a prolungare indefinitamente la lotta, a renderla sterile ed a produrre insomma una più grande quantità di quella violenza che si vorrebbe evitare. Né significa che noi limitiamo il diritto di difesa alla resistenza contro l’attentato materiale ed imminente. Per noi l’oppresso si trova sempre in istato di legittima difesa ed ha sempre il pieno diritto di ribellarsi senza aspettare che lo si prenda a fucilate; e sappiamo benissimo che spesso l’attacco è il più valido mezzo dì difesa. Ma qui vi è di mezzo una questione di sentimento – e per me il sentimento conta più di tutti i ragionamenti (“Fede”, 28 ottobre 1923).

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