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giovedì 4 febbraio 2016

PUNISHMENT PARK di Peter Watkins

1970. LA GUERRA in Vietnam si sta aggravando. Il presidente Nixon ha deciso una campagna di bombardamenti segreti della Cambogia, che portano ad una enorme protesta pubblica negli Stati Uniti e altrove. Nixon dichiara lo stato di emergenza nazionale, e  attiva l’Act 1950 sulla sicurezza interna (la legge McCarran), che autorizza le autorità federali, senza riferimento al Congresso, a detenere le persone giudicate "un rischio per la sicurezza interna ". Questa legge permette di creare campi di detenzione per la sinistra radicale e per tutti i sovversivi in genere, in caso di una possibile insurrezione. All’interno di questi campi dove i rivoluzionari vengono confinati senza il dovuto procedimento legale, si offre loro la scelta tra scontare quindici anni in un campo di concentramento o passare tre giorni in uno speciale parco di punizione. Qui essi devono cercare di raggiungere a piedi e senz’acqua una bandiera americana lontana circa cinquanta miglia in una zona arida e desertica, mentre vengono inseguiti e se possibile catturati dalla polizia e dalla Guardia Nazionale. Se raggiungono la meta sono liberi, altrimenti devono scontare la loro pena.
Punishment Park, film underground semisconosciuto dei primi anni '70 è un po' il paradigma di quel che furono quegli anni. Non solo la storia è un manifesto anti-imperialista, anti-sistema e anti-militarista, ma il fatto in se che un film così lo si riuscisse a produrre e in qualche modo anche a distribuire è significativo. Il film è realizzato come un falso documentario, escamotage narrativo certamente poco comune quaranta anni fa, e fa della semplicità il suo punto di forza. Il fatto poi che la situazione rappresentata in un film del 1971, con un governo USA che in nome della sicurezza nazionale elimina ogni libertà individuale, sarebbe facilmente applicabile ai giorni nostri è assai preoccupante.
Il film nasce sull'onda della contestazione contro la guerra in Vietnam, e in generale contro la politica di Richard Nixon, e suona come implacabile denuncia di un sistema che sceglie l'arma della repressione poliziesca per soffocare o imbavagliare il dissenso interno. Le situazioni sono volutamente esasperate, ma il materiale di repertorio delle dimostrazioni di piazza ed il taglio documentaristico della regia danno alla storia una parvenza di attualità.
Il film è assolutamente inquietante, la tensione non cala di un solo secondo e per alcuni versi risulta quasi profetico nel dipingere un futuro dispòtico dove imperversa lo stato di polizia.
Lo scandalo e le violente polemiche che accompagnarono l'uscita del film indusse la distribuzione a ritirarlo quattro giorni dopo la sua presentazione al pubblico di New York. 


       




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