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giovedì 28 gennaio 2016

LA MACCHINA

Il termine “macchina”, deriva proprio dalla parola greca mechané, che significa inganno, artificio, astuzia. «Testimonianza dell’antica illusione che si possa trasformare l’ambiente eludendone le leggi», la macchina è il risultato della manipolazione della Natura finalizzata a sovvertirne il corso per porla al servizio degli scopi stabiliti dagli umani. «Preposta alla costruzione di entità artificiali, di trappole tese alla natura per catturarne l’energia e volgerla in direzione dei vantaggi e dei capricci degli uomini», la macchina appartiene «al regno dell’astuzia e di ciò che è “contro natura”».

In questa guerra contro natura finalizzata alla sottomissione della Natura, anche gli umani (che sono Natura) diventano terreno di conquista della macchina, suo luogo di soggezione, suo strumento. Asserviti da quella stessa logica del dominio che rivolgono verso la Terra, ne replicano (come pedine) il potere d’intervento. Il mito di una forza meccanica che domina tutto per il bene della Società si fa ideologia, riversando contro quegli stessi umani che l’hanno pensata la pratica di un adattamento passivo ai bisogni del Potere. Il mondo diventa insomma un immenso campo di battaglia ove individui sempre più dipendenti dalle macchine inventano ogni giorno nuove macchine per assoggettare tutto ciò che è vivo al dominio delle macchine, compresi loro stessi.

Chiuso il cerchio delle auto-giustificazioni, tutto corre e concorre a rafforzare il paradigma del dominio. La tecnologia, in quanto incarnazione dell’ideologia della macchina (e cioè della perfezione meccanica che tutto controlla e tutto dirige) ci addestra appunto quotidianamente ad una dimensione mentale e sostanziale intrisa di rapporti di forza. Per noi, e per l’intero schieramento in riga dell’intelligencija internazionale, il dominio è talmente parte del nostro modo di pensare che lo consideriamo un’espressione stessa della natura umana, non della cultura.

A/TRAVERSO percorsi della ricomposizione

A/traverso si riconosce nell’area dell’autonomia.
Ma l’area non va identificata con il suo quadro organizzato, che non rappresenta invece altro che la punta emersa di in iceberg esteso nei comportamenti sociali di strati insubordinati, che, al di sotto della scena ufficiale della politica producono nuove possibilità per il movimento.
Attuale compito organizzativo del quadro dell’autonomia non è la centralizzazione, ma la ricomposizione trasversale. Il soggetto rivoluzionario si ricostruisce oggi in una fase lunga di ricostruzione capitalistica e di modificazione della figura di classe, di ridefinizione del movimento attorno all’area dell’autonomia.
Autonomia come bisogno di separ/AZIONE dei diversi strati sociali con la loro specificità (le donne, i giovani, gli omosessuali, gli assenteisti, i clandestini) rispetto alla complessità della classe. Separ/AZIONE delle singole istanze di trasformazione dell’esistenza nei piccoli gruppi in moltiplicazione.
Ricomporre trasversalmente (direzione operaia) significa tradurre i movimenti separatisti in movimento di separ/AZIONE.
Separazione dei bisogni operai dalla riorganizzazione sociale capitalistica. 
Occorre cominciare a pensare al comunismo in modo non più escatologico, come una cosa del futuro, ma come una realtà contemporanea, separata (estranea ed ostile rispetto alla società capitalistica, rispetto al suo funzionamento) ma capace di sospingerla in avanti e trasformarla, come motore dello sviluppo, come potere operaio in atto la forma dell’esistenza in movimento.
Pensare al comunismo come la forma della trasformazione, del desiderio in liberazione. Come il movimento reale che abolisce concretamente, (nel presente) lo stato di cose presente.

(A/traverso quaderno uno, supplemento a Rosso, ottobre 1975) 

LA POLITICA E LA CRITICA RADICALE

La politica è il quadro che ordina il dinamismo naturale della società e delle sue forme di socialità. Allucinazione formale che ha senso soltanto dentro l’area del con/senso. Essa prende corpo e significato proprio da quest’area nella quale i suoi dispositivi teorici sono pressoché infallibili, o in termini storici, attendibili. Dentro quest’area il capitale falsifica qualunque parte rendendola complementare a sé. Stornando la forma dialettica che parla di una reciprocità delle parti. Parte falsificata che appare, in teoria, antagonista alla gestione del dominio, in pratica, surrogato rozzamente approssimativo del tutto e sempre inattuale. Il comunismo, come la rivoluzione, devono sempre venire. La stessa sinistra estrema, nella sua intossicazione, non riesce a rendersi conto di perché la critica, invece, ne affermi perentoriamente l’esistenza come la parte rimasta in sospeso del reale, socialità che non sta in qualche posto, ma proprio nella parte che si afferma differente.
La politica sospende il reale. Questa condizione è prioritaria a qualunque manifestazione del politico. Ironia dei civilizzati e delle sedicenti avanguardie delle sue lotte! La sospensione del reale non è senza scopo. La politica non è mai gratuita. Questa sospensione serve ad introdurre le norme e le convenzioni della burocrazia dominante, ad estendere i suoi controlli (attraverso i processi di politicizzazione), a dare un corpo ideologico alle sue credenze che appaiono sempre sensate in prima istanza: dalle lotte terzomondiste alla gestione dell’utero nelle donne.
La politica non è mai pratica, ma sempre pratica della politica. Essa, cioè, non è neppure l’eccezione che conferma la regola, ma la regola che conferma il gioco. In questo senso diciamo che l’oltranzismo non ha spazio che dietro di sé, diventando politica. In questa regola che conferma il gioco, infine, si denuncia un altro aspetto ancora della politica: quello di candidarsi come l’unica forma di analisi attendibile del sociale. Da questo stallo ideologico non c’è scampo. Per questo che la critica non riconosce come distinte (anche se distinguibili) le posizioni politiche assunte dalla sinistra (dal partito alle frange estreme). La critica, infatti, non è una posizione limite del politico, ma l’altra scena smascherata dal rimosso.
Nessuno può essere impunemente critico nella sfera del politico e sopravvivere tollerato dentro il proprio ceto o nella nazione di cui parla la lingua e sopporta le abitudini.
La critica non riconosce il carattere distintivo di necessità. In questo senso prosegue una tradizione che era propria delle teorie del comunismo rivoluzionario. Il tempo imperfetto sta ad indicare che la teoria rivoluzionaria classica è infettata dalle mode con le quali la realtà del dominio capitale ha sfiancato il suo stesso movimento.

giovedì 21 gennaio 2016

Rifiuto dell'ideologia

Non si è mai abbastanza chiari: non esiste un'ideologia green-anarchista o anarco-primitivista. Gli anarchici essenzialmente si identificano in un desiderio e in azioni che li proiettano in uno stile di vita basato su ciò che non è presente. Anarchia fondamentalmente equivale ad "anti-autorità", e come è semplice constatare, non significa per tutti la stessa cosa. Non esiste una visione singola dell'anarchismo. Il suffisso "-ismo" usato in questa situazione ha un valore puramente convenzionale per identificare una vasta critica. Gli anarchici cercano un mondo libero dalla dominazione, dalle gerarchie: questo significa l'abolizione di tutti gli stati di potere. I punti "verdi" da liberare includono tutti i tipi di strutture autoritarie, ossia combattere la tecnologia, l'industrializzazione, e la civilizzazione stessa.
L'ideologia è un sistema di convinzioni rigido che si estende verso tutti gli altri regni di pensiero. Possiede una critica, un piano d'azione e una visione, che comprende organizzazione, piattaforme e così via. La sinistra tiene molto all'ideologia come mezzo per una rapida rivoluzione, mentre noi riteniamo che proporre alla gente un simile pacchetto completo non serva a riscoprire il suo vero potenziale, ma soltanto a fargli ingurgitare qualcosa per l'ennesima volta. Noi crediamo che l'ideologia sia uno strumento della civilizzazione, una parte della totalità del pensiero civilizzato che costringe le persone a una costante condizione abulica. I nostri interessi riguardano la determinazione di esseri autonomi, non di automi.
L'anarchia oltre non essere un’ideologia, non è per definizione, democrazia ( sia che essa sia democrazia sociale o diretta). Il bisogno di sottolineare questo punto può sembrare superfluo, ma è difficile fare riferimento all'imponente letteratura anarchica senza riconoscere che sia qualcosa di più di una democrazia radicale.
La democrazia, che ci si voglia credere o meno, è una forma di governo. E quindi, il governo è un'organizzazione governante, o il mediatore di tutte le attività politiche, sociali ed economiche di un determinato popolo. Così, possiamo dire che l'anarchia, per definizione, non è democrazia. Gli anarchici sono per un totale rifiuto di tutte le istituzioni e di tutte le strutture autoritarie per principio. Tutti i governi impongono loro stessi alla Terra e alla vita su di essa. Fino a quando esisteranno, non sarà possibile l'anarchia. 
(Green Anarchy)

PER CITTÀ E VILLAGGI Environs

Quando un ideale rosso e grande
impersonato dai ribelli del popolo
va in giro per la città affollata
e privata del canto
corre sotterraneo, affiora in villaggi vicini e lontani.
Siede in caffè pieni di fumo
tra amici di città e campagna
circola tra i ragazzi di scuola
nelle vie saluta i passanti
in autobus parla con la gente
dei guai della giornata
va incontro agli impiegati
col cuore pieno di affanni
depone corone su gerarchie e regolamenti
nei quartieri popolari picchia i pugni
contro i muri della miseria
Allora a fianco della fatica
si fa sentire un canto
di sangue e di liberazione
allora la galera
è come se non ci fosse più
questa fortezza, questa mentalità tiranna
Non contano più niente
né quella cella né queste catene.

Perchè la rivoluzione abbia successo

Ogni individuo umano è il prodotto involontario delle condizioni naturali e sociali in cui è nato e  alla cui influenza continua ad essere sottoposto man mano che si sviluppa. Le tre grandi cause di tutta l’immoralità umana sono: la disuguaglianza politica, economica e sociale, l’ignoranza che naturalmente ne risulta e la necessaria conseguenza delle due cause precedenti, e cioè la schiavitù...
Di conseguenza, perché la rivoluzione abbia successo è necessario che si rivolga contro la condizione di vita e i beni materiali, che distrugga la proprietà e lo Stato. Diventerà allora superfluo accanirsi contro gli uomini e condannarsi così a soffrire l’inevitabile reazione che ogni massacro ha sempre prodotto e sempre produrrà in qualsiasi società. 

Michail A. Bakunin

giovedì 14 gennaio 2016

La libertà dello Stato di Max Stirner

Tutta la libertà moderna si riassume nella libertà dello Stato, che risulta l’unico signore politico. Nel realizzare l’uguaglianza dei diritti, la borghesia ha dunque portato a compimento il principio di autorità attraverso l’emancipazione politica. L’uguaglianza giuridica, realizzando tale conquista, ha dato piena libertà allo Stato, nel senso, appunto, che da un lato esso si invera nell’universalizzazione democratica dei cittadini, dall’altro, pero, questa universalità pone in essere la libertà assoluta dello stesso dominio statale. La libertà politica consiste precisamente nel diretto rapporto tra cittadini e Stato, nel fatto che proprio in questo protestantesimo politico l’istituzione statale amplia la sua libertà totale, dal momento che nessun altro ente limita il suo potere. Non deriva, per Stirner, che tra lo Stato e l’individuo c’è una incompatibilità irriducibile. “Quella libertà non è mia, ma di una potenza che mi domina e mi tiranneggia; essa significa che uno dei miei tiranni, come Stato, religione, coscienza, è libero. Lo Stato, la religione, la coscienza, questi tiranni, mi rendono schiavo e la loro libertà è la mia schiavitù”.
La libertà dello Stato si configura come libertà di mediazione tra persona e persona. Infatti solo lo Stato, in virtù del suo assoluto monopolio di potere, può mettere i cittadini in contatto tra di loro. Ma in questa socialità politicamente realizzata va a compimento l’autentica vocazione alienante del potere, delle stesse ragioni del dominio: il comando per il comando. “Lo Stato lascia gli individui il più possibile liberi di giocare come vogliono, basta che non facciano sul serio e che non lo dimentichino. Non è permesso avere rapporti liberi, spontanei, con gli altri: occorre la sorveglianza e la mediazione di un’istanza superiore”. “Lo Stato non può sopportare che la persona abbia un rapporto diretto con un'altra persona: vuole fare da mediatore, deve – intervenire. Lo Stato è diventato ciò che un tempo fu Cristo, ciò che furono i Santi e la Chiesa: un mediatore. Esso divide la persona dalla persona. Il carattere coercitivo dello Stato non deriva dunque da una specifica forma istituzionale, ma dal fatto che esso è l’unica realtà politica esistente, la sola trama legittima valevole per tutti e per tutti, quindi, irreversibilmente onnipervasiva nella sua socialità totale. Ciò che si chiama Stato è un intreccio, una rete di dipendenze e di colleganze, è un appartenersi reciproco di persone che si tengono uniti e si adattano gli uni agli altri, insomma dipendono gli uni dagli altri: lo Stato è appunto l’ordine di questa dipendenza.   

PARALLELE di Eugen Guillevic

I
Si va, lo spazio è grande,
ci si rasenta,
si vuol parlare.
Ma ciò che raccontiamo
l'altro lo sa già,
perché sin dall'origine,
cancellata, dimenticata,
è sempre la stessa avventura.
In sogno ci si incontra
ci si ama, ci si completa.
Non si va più lontano
che in noi stessi, o nell'altro.
II
Voi gridate nello spazio
che si deve separare.
Gridate così forte
almeno verso l'altro spazio
da voi tagliato in due,
come se fosse sempre 
e solamente voi
a non potervi incontrare

Angry Brigade

Compagni rivoluzionari,
siamo rimasti tranquilli e abbiamo sofferto la violenza del sistema per troppo tempo. Ci attaccano quotidianamente. La violenza non esiste solo nell’esercito, nella polizia e nelle prigioni. Esiste nella cultura scadente e alienante prodotta dalla televisione, dai film, dai periodici illustrati; esiste nella brutta sterilità della vita urbana. Esiste nello sfruttamento quotidiano del nostro lavoro, che dà ai Padroni il potere di controllare le nostre vite e dirigere il sistema secondo i propri scopi.  Quante Rolls Royce, quante Irlande del Nord, quanti progetti di legge antisindacali occorreranno per dimostrare che in una crisi del capitalismo la classe al potere può reagire solo attaccando il popolo politicamente?
Ma il sistema non crollerà o capitolerà da solo. Via via sempre più lavoratori si rendono conto di ciò: e vanno trasformando la propria coscienza sindacale in una militanza politica offensiva. In una settimana, un milione di operai hanno scioperato: Ford, poste, radio, lavoratori del settore olio. Il nostro ruolo è quello di approfondire le contraddizioni politiche a tutti i livelli. Non raggiungeremo questo focalizzando la nostra attenzione su problemi singoli o con lamenti socialisti all’acqua di rose.
Nell’Irlanda del Nord l’esercito britannico e le sue pedine hanno trovato un terreno per le proprie esercitazioni: gas lacrimogeni e pallottole a Belfast oggi, domani a Derby e Dagenham. Il nostro attacco è violento, la nostra violenza è organizzata. Il problema non è se la rivoluzione sarà violenta. La lotta organizzata e il terrorismo organizzato vanno a fianco l’una dell’altro. Queste sono le tattiche del movimento rivoluzionario di classe. Dove due o tre rivoluzionari utilizzano la violenza per attaccare il sistema di classe... ecco l’Angry Brigade. Alcuni rivoluzionari in tutta l’Inghilterra utilizzano già il nome per pubblicizzare i loro attacchi contro il sistema.
Nessuna rivoluzione è stata vinta senza violenza. Come le strutture e i programmi di una nuova società rivoluzionaria devono essere incorporati in ogni organismo di base, ad ogni tappa della lotta, così, la violenza organizzata deve sempre accompagnare ogni momento della lotta fino a quando, armata, la classe operaia rivoluzionaria capovolgerà il sistema capitalista. 


Pubblicato su “The Times” del 19 febbraio 1971

giovedì 7 gennaio 2016

La scatola di vetro è stata rotta

L’angoscia della strada, i gesti abusivi. Le ossa sfinite e morbide. Le donne senza volto, rigide, dai capelli spezzati. Un rottamaio, dove tutto è così, dove ad ogni domanda si prescrive un’iniezione diversa.
Dove ogni gesto personale è fuori luogo.
Non si possono aprire sempre casi diversi. 
Un terreno dove l’aria si rifiuta di entrare. 
SILENZIO.
Nello specchio tutta la rabbia, le urla, le voci, le parole di questi vuoti a perdere. Morte e distruzione si moltiplicano come la cantilena della buonanotte. Domani sarà uguale, ti ci abituerai. Il sorriso le si rifletteva sul vetro della scatola che le stavano portando via.
ADEGUARSI. 
Lei non vedeva persone a cui adeguarsi, ma soprammobili, bambole di pezza, ceramiche e secondini puliti.
È così che si è trovata nel buio della stanza, un calore vaporoso, intorno al letto confusione, scintillante, metallica, meccanica.
Dentro è densa, un freddo contenitore. Malata, immobile, pesante, piombo. Polvere di vetro scivola nelle vene, incapace di parlare o cantare. Il bianco guardiano entra, i polsi le dolgono, è bianco, distaccato e bisognoso. Le dà la medicina della salute, senza sapere e capire che soffriva di un qualcosa di diveso, incomprensibile alla sua maniacale voglia di decodificazione.
Sono condannati ad incontrarsi.
Di suo, non sentiva più nulla, al tatto le sfuggivano i vestiti, le capsule, le ossa, il sangue. La sua personalità che non voleva reprimere e trattenere, era in serio pericolo. Tra quelle mura insonorizzate rischiava di appiattire il suo encefalogramma
Qualcosa si frantuma, non si adegua, ha bisogno di un rasoio, non si adegua, è sudata.
Quando si è alzata, ha tagliato i suoi piedi, c’era sangue dappertutto, ma non ha provato niente, aveva bisogno di un rasoio per tagliare l’atmosfera.
Desiderano che si adegui, ma la scatola di vetro è stata rotta.
Tutti kazzi vostri.
(Tratto da: Luna Nera Contro la psichiatria Villa Azzurra Giugno 1992)

IL POTERE di Augusto Tretti

Il film descrive in maniera surreale le dinamiche dell'acquisizione del potere nelle varie epoche storiche, dalla preistoria al consumismo dell'Italia contemporanea, passando per l'Impero romano, la conquista del West a spese dei nativi indiani, il ventennio fascista. Tre belve: il leone, la tigre e il leopardo rappresentano rispettivamente i poteri militare, commerciale e agrario, e dialogando tra loro dimostrano che il potere, pur assumendo fisionomie diverse nei secoli, rimane sempre nelle stesse mani. Nell'età della pietra, connivente la paura, finisce nelle mani di un furbo che si fa passare per divinità del fuoco. Nell'epoca romana, per vincere l'insorgente coscienza degli agrari, deve ricorrere all'assassinio del tribuno Tiberio Gracco. Nell'epoca del Far West, per aumentare la propria potenza, non rifugge dal genocidio perpetrato da coloni, soldati e galeotti inglesi. Nell'Italia posteriore al 1919, il potere viene arraffato dal fascismo che ottiene l'appoggio dei portafogli borghesi, che distrugge le libertà democratiche e che si allea col Vaticano. Nell’Epoca moderna, infine si assiste ad un dialogo tra i tre poteri: Tigre: "Oggi i politici burattini non servono più". Leone: "Anche la parola patria non fa più effetto". Leopardo: "Dobbiamo cambiare tattica". Leone: "Diamo il potere ai militari" Tigre: "Ancora no , se vogliamo continuare a sfruttare e speculare dobbiamo farlo sotto le ali del parlamentarismo traendo profitto dalle leggi democratiche". Leopardo: "Narcotizzeremo le masse con la stampa, con la falsa cultura, con la televisione". Leone: "Distrarremo il popolo con lo sport!" Tigre: "Appagheremo la gente con i beni di consumo". Leopardo: "E favoriremo le aristocrazie operaie". L’uniformità e l’obbedienza delle masse sono assicurate non dalla violenza né dalla propaganda politica, ma dalla facile imposizione di un modello di vita improntato alla produzione e al consumo, nella costante ricerca del prossimo bisogno indotto da soddisfare.
Girato a basso costo, Il potere esplicita la sua povertà economica in ogni momento, così la povertà di mezzi è in questo caso non solo una condizione imposta dalla produzione, ma persino una scelta politica di fondo, quasi che Tretti abbia voluto protestare contro un certo cinema, italiano e non solo, dai budget altissimi e talvolta sprecati, dimostrando a quei produttori e registi che si può realizzare un film di fiction con messaggi forti e precisi anche con poche risorse economiche a disposizione.
Il potere, un apologo apparentemente naïf, girato con pochi mezzi e attori non professionisti, che si avvale del tono grottesco per lanciare pungenti staffilate riguardanti i meccanismi occulti che regolano la gestione del potere nei diversi periodi storici della storia umana. Tretti fa un cinema didascalico da sillabario, vuol raccontare una sua idea della società, e perché non gli piace. Ci riesce per una sua forza derisoria che si avvale d’impassibilità, di non-compiacimento. I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori (folle di otto persone, eserciti di dodici soldati), riportano il cinema a un eden dimenticato; a grandi spazi fatti di paesi, monti e campagne della memoria. 

Il tempo come la tecnologia

La vita viene descritta schematicamente come un viaggio attraverso il tempo; il fatto che in realtà sia un viaggio attraverso l’alienazione è il più banale dei segreti. Il tempo non passa per chi è felice, dice un proverbio tedesco. Lo scorrere del tempo, in passato considerato senza senso, è ora il battito ineluttabile che ci limita e ci costringe, lo specchio di una stessa cieca autorità. Nel 1890 Guyau (filosofo e poeta francese) disse che il passare del tempo era “ la differenza tra ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che abbiamo”, e dunque  il principio del rimpianto. Carpe diem, è l’invito della celebre massima; ma la civiltà ci costringe sempre a ipotecare il presente per il futuro.
Il tempo punta a un sempre maggior rigore nella regolarità e nell’universalità. È in base a questo che il mondo tecnologico capitalistico misura il proprio progresso, e non potrebbe esistere senza di esso. L’importanza del tempo, ha scritto Bertrand Russell nel 1929, è da valutare “più in relazione ai nostri desideri che in relazione alla verità”. Lo struggimento si è fatto palpabile quanto il tempo stesso. L’enorme costruzione teorica che chiamiamo tempo è il modo migliore per misurare la negazione del desiderio.
Il tempo come la tecnologia, non è mai neutrale; è sempre pregno di significato. In sostanza, tutto ciò che pensatori come Jacques Ellul (sociologo e teologo francese, autore di svariati saggi sulla cosiddetta società tecnologica, sul cristianesimo e sulla politica; fu sostenitore dell'idea che l'anarchismo e il cristianesimo si prefiggono lo stesso obiettivo sociale; fu al contempo sostenitore di politiche ecologiche e tra i precursori dell'attuale idea di decrescita economica) hanno detto sulla tecnologia, si può applicare al tempo, e in senso più profondo. Entrambe le condizioni sono pervasive, onnipresenti, fondamentali, e sono in genere considerate date come la stessa alienazione. Il tempo, come la tecnologia, non è soltanto qualcosa che ci determina, ma è anche l’elemento avvolgente nel quale si sviluppa la nostra società divisa. Analogamente il tempo richiede che coloro che gli sono soggetti siano coscienziosi, realisti, seri e, soprattutto, dediti al lavoro. Come la tecnologia, è autonomo nei suoi tratti generali; va avanti sempre per conto proprio.