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giovedì 3 dicembre 2015

Gioiosa ebbrezza della sobrietà volontaria.

La società in cui viviamo è impregnata del concetto di crescita, una parola magica che viene ripetuta come un mantra da chiunque, pur in assenza della consapevolezza di ciò che essa comporti realmente come significato. Il suo opposto, decrescita, suona quindi come la peggiore eresia. Viviamo una fase molto delicata e importante della storia umana, ampiamente prevista da antropologi e studiosi in genere già a partire dagli anni '70, una fase in cui sta entrando in crisi un sistema costruito sulle risorse non rinnovabili (carbone e petrolio). Queste risorse si ritiene abbiano reso possibile uno stile di vita che diversamente sarebbe stato impensabile, e che comunque ha riguardato solo una minima parte del pianeta.
La decrescita è un'utopia concreta, un progetto di costruzione di una società di abbondanza frugale per uscire dalle aporie della società dei consumi. A differenza delle ideologie dominanti, non ci sono dogmi. Occorre seguire la via  della gioiosa ebbrezza della sobrietà volontaria.
E' davanti a noi il fallimento dell'obiettivo della felicità per tutti promessa dalla società della crescita. Occorre ora interrogarsi sul contenuto di questa promessa. Occorre ridefinire la felicità come abbondanza frugale in una società solidale. Questa è la rottura proposta dal progetto della decrescita, una rottura che presuppone che si esca dal circolo inferrnale della creazione illimitata di bisogni e di prodotti, come pure dalla frustrazione crescente che questa genera, e che si compensi l'egoismo con la convivialità.
Il buon funzionamento del sistema consumistico si basa sull'insoddisfazione generalizzata. Come sanno bene i pubblicitari, le persone felici sono cattivi consumatori. Ribaltando questa logica, la società della decrescita si propone di rendere felice l'umanità attraverso l'autolimitazione, per realizzare l'abbondanza frugale.
Lo slogan dei governi in carica è sia rilancio, sia austerità, che significa rilancio per il capitale e austerità per tutti gli altri. Il problema è che si tratta di un'austerità che priva non soltanto del superfluo, ma anche del necessario. Non bisogna confondere infatti la decrescita con la crescita negativa, ovvero con la diminuzione del PIL (prodotto interno lordo). La decrescita presuppone invece una uscita dalla società dei consumi e dal PIL come indicatore.
L'attuale sistema di potere è cresciuto con l'avallo dei partiti socialdemocratici, che ora non sono più in grado di mettere in discussione la camicia di forza del neoliberalismo che loro stessi hanno contribuito a costruire negli ultimi trent'anni. L'attuale logica del sistema presuppone una sottomissione senza tentennamenti ai dogmi monetaristi.
Un programma come quello della decrescita oggi appare utopistico, ma quando toccheremo il fondo della vera crisi che è in agguato, apparirà desiderabile e realistico. La crescita appare infatti alla massa degli individui come la promessa - in realtà del tutto illusoria - che un giorno non saranno più sottoprivilegiati, e la non crescita come la loro condanna alla mediocrità senza speranza. Decrescita dunque significa scelta di una civiltà alternativa.

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