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giovedì 17 settembre 2015

Leda Rafanelli, un’anarchica femminista

Riscuote in pubblico fama di persona piuttosto libera nella condotta morale, anche per i suoi principi di libero amore. Ha intelligenza svegliata e cultura superiore alla media acquistata con la lettura assidua e con l’assimilazione di libri, opuscoli, riviste sociologiche. Ha frequentato appena le scuole elementari.
Così comincia, in data agosto 1908, una lunga scheda di Pubblica Sicurezza conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato e intestata a Leda Rafanelli (Pistoia 1880 – Genova 1971), propagandista anarchica, musulmana, cartomante, autrice di opuscoli politici, di romanzi e novelle.
Dalla scheda di polizia, nonostante la freddezza del linguaggio burocratico, traspare tutta la carica, la forza di volontà e di conoscenza, che la dovettero sostenere e che la portarono, lei autodidatta, ad assumere un ruolo di primo piano fra i teorici dell’anarchismo. Ma la speculazione teorica non le è sufficiente e a questa Leda affianca una azione capillare di propaganda dai fogli dei numerosi giornali ai quali collabora, su temi che riguardano la condizione femminile, l’educazione delle scuole, la prostituzione, la morale sessuale, consapevole della necessità di dover anzitutto illuminare molti esseri offuscati dalla paura e indeboliti dalla schiavitù imposta dalle leggi di questa società liberticida.
Le analisi politiche e sociali condotte da Leda nei suoi articoli sono spesso acute e originali, tanto da mettere in discussione le rigide categorie di pensiero che, soprattutto in tema morale, circolavano anche fra gli anarchici e socialisti. In particolare esse si caratterizzano per una insolita attenzione al punto di vista delle donne rispetto ai vari problemi affrontati: per esempio pur allineandosi con l’anticlericalismo professato dagli anarchici, Leda cerca di approfondire l’analisi delle ragioni che spingono soprattutto le donne a frequentare la chiesa – e ritiene che non siano ragioni disprezzabili: derivano da un lato dalla solitudine in cui le donne sono lasciate dai mariti, che nel tempo libero del lavoro si dedicano preferibilmente al vizio del bere; dall’altro dal bisogno che esse hanno di confronto spirituale, data la loro maggiore ricchezza interiore. O ancora rimprovera gli anarchici di sottovalutare la questione femminile e in particolare negli anni della guerra di avere strumentalizzato le donne, non diversamente dagli altri partiti: “oggi, dopo essere stata strumento di propaganda patriottica e di produzione bellica, si ricaccia (la donna) nelle quattro mura domestiche a custodire la casa e a riattizzare il fuoco”.  

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