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giovedì 24 settembre 2015

Noi siamo per la costruzione di dissidenze radicali

La natura del sistema e la fusione tra mafia e politica rendono impossibile qualunque riforma. Qualsiasi tentativo di cambiare davvero anche un solo aspetto di questo monolite dovrebbe scatenare delle forze quasi rivoluzionarie; certamente apprendisti stregoni avidi di potere proveranno a giocare con la disperazione sociale mentre altri, abili strateghi dell’abisso, crederanno di manipolare i manipolatori, ma solo una rivoluzione basata su una prospettiva antindustriale può evitare di riprodurre le separazioni in atto in questa società. Questa prospettiva non si definisce in rapporto al sistema che combatte ma in funzione delle risposte che dà: è la sola in grado di superare i limiti delle lotte ecologiste per fare della libertà e di un rapporto di complicità con la natura la base di una possibile ri-umanizzazione. In una “guerriglia delle idee” che non sia sterile né demoralizzante, la volontà di fare nella pratica la propria parte, per quanto limitata possa essere, presuppone di impegnarsi su questo lungo cammino conflittuale, e sforzarsi di non allontanarvisi. La realtà ha messo un punto conclusivo al dibattito sui metodi:  non si tratta di rispolverare o di dare una nuova mano d’intonaco alle vecchie banalità del sapore marxista, né di polemizzare all’infinito, ad uso di una manciata di spettatori “competenti”, contro questa o quella variante del discorso politico (radicale, di estrema sinistra, “verde” eccetera) più o meno avariata o sclerotizzata, ma di divulgare una visione chiara del presente – e di un avvenire prevedibile – così come della natura delle forze che ambiscono a contestare questo mondo. Su quest’ultimo punto ci si distingue facilmente dicendo subito che in fin dei conti queste forze, lungi dall’essere la negazione di questo mondo, non ne rappresentano che semplici sottoprodotti, nella misura in cui si integrano nel suo sistema di autoprotezione:  le diverse forme di condizionamento con cui occupano il mercato della contestazione possono variare in funzione delle intenzioni dei loro rappresentanti, del loro livello di onestà e di altri fattori secondari, ma non riusciranno a nascondere la loro natura comune.
Noi siamo per la costruzione lenta e paziente di dissidenze radicali; una vasta coalizione di individui coscienti tanto di cosa li unisce nella loro diversità quanto di cosa li separa dal resto della società, e determinati a sbarazzarsi di quest’ultima.

19TH NERVOUS BREAKDOWN The Rolling Stones

Sei il tipo di persona che si incontra in alcune squallide, insulse occasioni
Nel centro di una folla, urlando troppo forte, correndo su e giù per le scale
Beh, mi sembra che tu abbia visto troppo in così pochi anni
E anche se c'hai provato non puoi nascondere i tuoi occhi in lacrime
Faresti meglio a fermarti, a guardarti intorno
Eccolo che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva
Ecco che arriva il tuo diciannovesimo crollo nervoso
Quando eri bambina eri una specie protetta
Ma non sei mai stata educata nella giusta maniera
Sei sempre stata viziata con mille giocattoli, ma continuavi a piangere per tutta la notte
Tua madre che ti ha trascurato deve un milione di dollari al fisco
E tuo padre sta ancora perfezionando la tecnica di realizzazione della ceralacca
Faresti meglio a fermarti, a guardarti intorno
Eccolo che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva
Ecco che arriva il tuo diciannovesimo crollo nervoso
Oh, di chi è la colpa, di quella ragazza così folle?
Beh, niente di quello che faccio sembra funzionare
Sembra soltanto utile a peggiorare le cose Oh, per favore
Eri ancora a scuola quando quello stupido ti ha incasinato la testa di brutto
E dopo che hai voltato le spalle a quel tipo 
Durante il nostro primo viaggio ho provato così tanto a riordinarti la testa
Ma dopo un po' mi sono reso conto che stavi incasinando la mia
Faresti meglio a fermarti, a guardarti intorno
Eccolo che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva, ecco che arriva
Ecco che arriva il tuo diciannovesimo crollo nervoso
Oh, di chi è la colpa, di quella ragazza così folle?
Beh, niente di quello che faccio sembra funzionare
Sembra soltanto utile a peggiorare le cose Oh, per favore
Quando eri bambina eri una specie protetta
Ma non sei mai stata educata nella giusta maniera
Sei sempre stata viziata con mille giocattoli, ma continuavi a piangere per tutta la notte
Tua madre che ti ha trascurato deve un milione di dollari al fisco
E tuo padre sta ancora perfezionando la tecnica di realizzazione della ceralacca
Faresti meglio a fermarti, a guardarti intorno
Ecco che arriva il tuo diciannovesimo crollo nervoso

Identità tra malattia e capitale

La malattia è la condizione essenziale del processo di produzione capitalista, il preliminare ed il risultato. Il processo di produzione capitalista è un processo di distruzione della vita. Continuamente si distrugge la vita e si produce capitale. L'accumulazione è infatti l'unico scopo del capitale. La malattia si produce collettivamente: il lavoratore produce collettivamente il suo isolamento nei processi di lavoro e questo isolamento aumenta con l'apparizione dei primi  sintomi della malattia. 
L'organizzazione sanitaria, infatti, interpreta la malattia non come un destino collettivo, ma come una defaillance individuale. Il capitalismo produce la malattia che è l'arma più pericolosa per la sua esistenza. E' per questo che il capitale si scatena contro il momento progressista della malattia con tutte le armi disponibili (polizia, organizzazione sanitaria, ecc.). Il malato è perciò sfruttato due volte: quando cessa di essere sfruttabile sul luogo di lavoro, viene isolato e destinato al ruolo di consumatore dei prodotti farmaceutici. Il momento progressista della malattia, la protesta, viene soffocato; il suo momento reazionario, l'inibizione, è riprodotto nel momento della guarigione. Si toglie al malato il suo bisogno di trasformazione. Vivere significa trasformare, lottare contro la violenza della natura e per la sua appropriazione produttiva. Opponendosi alla trasfrormazione, la società capitalista si oppone alla vita stessa e si rende colpevole di un assassinio permanente e organizzato, chiamato educazione, famiglia, scuola, il cui unico scopo è il soffocamento di ogni esigenza umana in favore della violenza naturale, l'accumulazione capitalistica. 

giovedì 17 settembre 2015

Resistenza contro la deragione

L'alterazione della velocità delle forme si sopravvivenza è uno dei tanti accorgimenti con i quali si confeziona l'a-storicità dell'epoca e si umilia la spontaneità. La tendenza è quella di ridurre l'individuo ad un semplice recettore di riflessi condizionati, un programma che si realizza mantenendo nell'incoscienza le forme dell'esserci e stimolando la sfera corporale, come mostra il successo delle attività sportive, intense, funzionali e brutali, cariche di un aggressività senza contenuto, e di una ritualità sublimata, che ricordano l'impegno del lavoro salariato. In questo quadro la povertà  è una forma di lentezza che fa del proletario un parassita, la cui vita è divenuta ideologia della sua propria assenza. Un ideologia che ricorda la decadenza dei Romani, caratterizzata da una quiete sociale che, nelle repubbliche, è solo l'espressione di una mancanza di libertà.
L'idealismo ha imparato da tempo a strumentalizzare il progetto comunista di rovesciare il mondo, per mascherare le lotte sul cambiamento. Lotte nelle quali la critica radicale ha appreso a catalizzare i desideri della sua epoca prima che vengano presi in ostaggio dalle accelerazioni impresse alla vita corrente dagli autoritarismi, arrivati sino al paradosso di imporre la condizione del moderno come un dovere assoluto. Queste lotte hanno costituito un programma appassionato di cambiamento reale della vita, che si è costantemente accompagnato alla necessaria resistenza contro la deragione di un progresso alienato e al carattere parziale di tutte le realizzazioni positive da esso promesse. Là dove la forma si ritorce contro il contenuto, necessariamente i mezzi si rivoltano contro il fine.

Le radici del ‘68

Partiamo dal movimento americano che nel ’64-67 ebbe un enorme peso nella situazione italiana. Innanzitutto il movimento dei neri nelle due componenti fondamentali: quella violenta – in parte espressa dal movimento del Black Power, ma soprattutto incarnata dalla rivolta muta dei ghetti, culminata nella vera e propria insurrezione della metropoli operaia di Detroit, che vide impegnato lo stesso esercito USA in una settimana di combattimenti casa per casa - e quella pacifista e integrazionista, rappresentata da Martin Luther King.
Dalle testimonianze e dai resoconti della rivolta di Detroit si ricava la sensazione entusiasmante della rivoluzione: uno dei principali centri industriali e operai dell’epoca – allora Detroit non era ancora precipitata nel pozzo senza fondo della disperazione e della criminalità ove sarebbe stata gettata dalla ristrutturazione e dalla deindustrializzazione degli anni ottanta, ma era uno dei centri pulsanti del capitale mondiale, come Torino e Milano – caduto nelle mani dei desperados dei ghetti in armi, che avevano inflitto una sonora sconfitta alle forze repressive locali e affrontato un formidabile spiegamento di forze militari. Gli operai, occupate le fabbriche, erano stati però incapaci di uscirne per partecipare in massa all’insurrezione, bloccati nella stessa impasse, rivelatrice dei pregi e dei limti dell’autogestione condotta dai Consigli operai, che si sarebbe manifestata poi nel Maggio francese.
L’estate calda del ’67 accese la miccia del movimento studentesco europeo. Di grande impatto emotivo furono anche le manifestazioni del movimento per i diritti civili, che Martin Luther King aveva cominciato a indirizzare verso tematiche sociali.
Infine il movimento degli hippies  e degli studenti bianchi contro la Guerra del Vietnam – al cui interno si manifestavano componenti radicali – mise in pratica senza mediazioni la critica pratica della vita quotidiana. Gli hippies e gli studenti sperimentarono forme di vita comunitaria, liberazione sessuale, rifiuto del lavoro, critica della famiglia e dei ruoli sociali, illegalità, uso delle droghe che allargano la coscienza, nomadismo, riutilizzo delle tradizioni religiose per raggiungere l’estasi.
In Italia prima del ’68 l’underground era caratterizzato da poche e minoritarie manifestazioni contro culturali e comunitarie (Onda Verde, Barbonia City, case occupate in campagna, diffusione delle comuni nelle metropoli), che ebbero il merito d’incominciare a porre la questione della critica della vita quotidiana (soprattutto la liberazione sessuale, il rifiuto del servizio militare, le droghe leggere), ripresa più avanti ed in altri termini dai rivoluzionari che la integrarono con l’apporto dell’Internazionale Situazionista, e di dare inizio a quella rivoluzione dei costumi che, nella provincialissima e bigotta Italia degli anni Sessanta, avrebbe finito per cambiare irreversibilmente la vita di un’intera generazione e segnare tutta la società.

   

Leda Rafanelli, un’anarchica femminista

Riscuote in pubblico fama di persona piuttosto libera nella condotta morale, anche per i suoi principi di libero amore. Ha intelligenza svegliata e cultura superiore alla media acquistata con la lettura assidua e con l’assimilazione di libri, opuscoli, riviste sociologiche. Ha frequentato appena le scuole elementari.
Così comincia, in data agosto 1908, una lunga scheda di Pubblica Sicurezza conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato e intestata a Leda Rafanelli (Pistoia 1880 – Genova 1971), propagandista anarchica, musulmana, cartomante, autrice di opuscoli politici, di romanzi e novelle.
Dalla scheda di polizia, nonostante la freddezza del linguaggio burocratico, traspare tutta la carica, la forza di volontà e di conoscenza, che la dovettero sostenere e che la portarono, lei autodidatta, ad assumere un ruolo di primo piano fra i teorici dell’anarchismo. Ma la speculazione teorica non le è sufficiente e a questa Leda affianca una azione capillare di propaganda dai fogli dei numerosi giornali ai quali collabora, su temi che riguardano la condizione femminile, l’educazione delle scuole, la prostituzione, la morale sessuale, consapevole della necessità di dover anzitutto illuminare molti esseri offuscati dalla paura e indeboliti dalla schiavitù imposta dalle leggi di questa società liberticida.
Le analisi politiche e sociali condotte da Leda nei suoi articoli sono spesso acute e originali, tanto da mettere in discussione le rigide categorie di pensiero che, soprattutto in tema morale, circolavano anche fra gli anarchici e socialisti. In particolare esse si caratterizzano per una insolita attenzione al punto di vista delle donne rispetto ai vari problemi affrontati: per esempio pur allineandosi con l’anticlericalismo professato dagli anarchici, Leda cerca di approfondire l’analisi delle ragioni che spingono soprattutto le donne a frequentare la chiesa – e ritiene che non siano ragioni disprezzabili: derivano da un lato dalla solitudine in cui le donne sono lasciate dai mariti, che nel tempo libero del lavoro si dedicano preferibilmente al vizio del bere; dall’altro dal bisogno che esse hanno di confronto spirituale, data la loro maggiore ricchezza interiore. O ancora rimprovera gli anarchici di sottovalutare la questione femminile e in particolare negli anni della guerra di avere strumentalizzato le donne, non diversamente dagli altri partiti: “oggi, dopo essere stata strumento di propaganda patriottica e di produzione bellica, si ricaccia (la donna) nelle quattro mura domestiche a custodire la casa e a riattizzare il fuoco”.  

giovedì 10 settembre 2015

La tecnologia e la natura

La società detta industriale rappresenta oggi l’ultimo stadio della società capitalista: ciò non significa tanto che l’industria ne costituisca la principale fonte di ricchezza, quanto che la società nel suo insieme funziona come un sistema industriale, le cui caratteristiche sono la mondializzazione della produzione, della distribuzione e della divisione del lavoro, e la dipendenza totale dalla tecnologia. Per questo motivo il lavoro astratto, svincolato da qualsiasi attività sociale e privo di ogni valenza qualitativa, riveste la parte più importante del modo di vivere in questa società. Adesso che lo sfruttamento riguarda ogni aspetto della vita, e che il lavoro salariato non viene più percepito come tratto comune, la coscienza di classe si dissolve nella modalità del consumo di massa ormai predominante. Gli apologeti di questi mutamenti parlano di una "società postindustriale" la cui organizzazione si caratterizzerebbe per la subordinazione degli elementi materiali (materie prime e macchine) agli elementi immateriali (conoscenza e informazione).
In questa società la tecnologia – processo che riunisce scienza, tecnica, economia e politica – è la forza che presiede a ogni cambiamento; sta alla base di ogni sistema di produzione, circolazione e consumo. È il mezzo grazie al quale la produzione può essere automatizzata e delocalizzata, la natura colonizzata, le sue forze domate e le sue risorse saccheggiate; infine crea lo spazio sociale in cui la merce diventa spettacolo. La tecnologia non può essere ridotta ad un insieme di macchine e di conoscenze: costituisce di per sé un sistema divenuto autonomo. L’economia è alle sue dipendenze, ed essa si è diffusa a tal punto che si può parlare di una società artificializzata o "coltivata fuori suolo". Gli uomini si limitano a essere nient’altro che mediatori tra le macchine, vero soggetto della storia alienata: nel linguaggio dei commentatori più oscurantisti viene definita "società della conoscenza".
E quando le macchine rappresentano la principale forza produttiva questa diventa, spronata dagli imperativi della crescita, la principale forza distruttiva. La logica tecnicista travalica gli ambiti nazionali e si impadronisce del pianeta intero: ci troviamo in una società mondializzata votata allo sviluppo, in cui le popolazioni dei paesi in via di sviluppo  non sono altro che animali da laboratorio. 

MANIFESTAZIONE di Pedro Shimose

Con una rabbia al peperoncino,
esco col mio condor sotto il braccio,
attraverso la strada con una pietra in mano,
cammino con un poliziotto che mi controlla l'intenzione,
cerco il suono e l'occhio della notte,
attacco cartelli, corro per le piazze,
grido con lingua infuocata
e scrivo sui muri "Viva il Che"
mi schizzano gl'idranti,
                 sono il fuoco;
m'abbagliano i gas,
                 sono la terra;
mi aprono ferite ovunque,
                 sono il popolo;
m'inseguono, m'incarcerano, mi torturano.
Canto la mia libertà, smuovo il selciato,
spacco legni e cristalli, canto,
vado allo sciopero con la mia naturale paura e un sorso di
                                                   [caffè caldo;
volo per la città, strappo l'aria, mando in frantumi le vetrine,
calpesto le pagine dei giornali,
abbatto porte, vinco maschere e clave,
oltrepasso la soglia della storia,
sono!

L'America è un gigantesco ologramma

L'America è un gigantesco ologramma nel senso che l'informazione totale è contenuta in ciscuno degli elementi. Olografica nel senso della luce coerente del laser, omogeneità degli elementi semplici esplorati dagli stessi fasci luminosi. Anche dal punto di vista visivo e plastico: si ha l’impressione che le cose sian fatte di una materia più irreale, che ruotino e si spostino nel vuoto come per uno specia­le effetto luminoso, una pellicola che si attraversi senza accorgerse­ne. Il deserto, certo, ma  anche Las Vegas, la pubblicità, anche l’atti­vità della gente, public relations, elettronica della vita quotidiana, tutto si staglia con la plasticità, la semplicità di un segnale lumino­so. L’ologramma è simile al fantasma, è un sogno tridimensionale, e si può entrarvi come in un sogno. Tutto dipende dall'esistenza del raggio luminoso che porta le cose; se viene interrotto, tutti gli effet­ti si disperdono, e anche la realtà. Ora, si ha proprio l'impressione che l’America sia fatta di una commutazione fantastica di elementi simili, e che tutto dipenda unicamente da quel raggio di luce, quel fascio laser che fruga sotto i nostri occhi la realtà americana. Lo spettrale, qui, non è il fantomatico o la danza degli spettri, è lo spettro di dispersione della luce.
Sulle colline profumate di Santa Barbara, le ville hanno tutte
l'aria di funeral homes. Fra gardenie ed eucalipti, nella profusione delle specie vegetali e la monotonia della specie um ana, si compie il destino funesto dell'utopia realizzata. Dal cuore della ricchezza e della liberazione, la domanda che sale è sempre la stessa: “What are you doing after thè orgy?"
Che fare quando tutto è disponibile, il sesso, i fiori, gli stereotipi della vita e della morte? È il problema dell’America e, attraverso l’America, è diventato quello del mondo intero.
Ogni abitazione è sepolcrale, ma niente manca alla serenità
truccata. La dannata onnipresenza delle piante verdi, vera e pro­pria ossessione della morte, le grandi vetrate che sono già come la bara di Biancaneve, i cespugli di fiori pallidi e nani che si propaga­no come una sclerosi a placche, le innumerevoli ramificazioni tec­niche della casa, sotto la casa, intorno alla casa, che sono come i tubi di perfusione e di rianimazione di un ospedale, la TV, lo ste­reo, il video, che assicurano la comunicazione con l'aldilà, l’auto­mobile, le automobili, che assicurano il collegamento con quella centrale mortuaria degli acquisti che è il supermercato - la moglie, infine, e i figli, come segno radioso del successo... tutto qui sta a te­stimoniare che la morte ha finalmente trovato il suo domicilio ideale.

giovedì 3 settembre 2015

NOI NON VOGLIAMO

Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere. La maggior parte degli uomini non sono stati altro che animali spiritualizzati, capaci di promuovere una tecnologia al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare umanamente la vita e raggiungere così la propria specificità di uomo, di donna, di fanciullo. Al termine di una corsa frenetica verso il profitto, i topi in tuta e in giacca e cravatta scoprono che non resta più che una misera porzione del formaggio terrestre che hanno rosicchiato da ogni lato. Dovranno progredire nel deperimento, o operare una mutazione che li renderà umani.
E' tempo che il memento vivere prenda il posto del memento mori che bollava le conoscenze sotto il  pretesto che niente è mai acquisito.
Ci siamo lasciati troppo a lungo persuadere che non c'era da attendere altro dalla sorte comune che la  decadenza e la morte. É una visione da vegliardi prematuri, da golden boys caduti in senilità precoce perché hanno preferito il denaro all'infanzia. Che questi fantasmi di un presente coniugato al passato cessino di occultare la volontà di vivere che cerca in ciascuno di noi la via della sua sovranità!
Per spezzare l'oppressione, la miseria, lo sfruttamento, non basta più una sovversione avvelenata dai valori morti che essa combatte. É venuta l'ora di scommettere sulla passione incomprimibile di ciò che è vivo, dell'amore, della conoscenza, dell'avventura che chiunque abbia deciso di crearsi secondo la sua linea di cuore inaugura ad ogni istante.
La società nuova comincia dove comincia l'apprendistato di una vita onnipresente. Una vita da percepire e da comprendere nel minerale, nel vegetale, nell'animale, regni da cui l'uomo deriva e che porta in sé con tanta incoscienza e disprezzo. Ma anche una vita fondata sulla creatività, non sul lavoro; sull'autenticità, non sull'apparire; sull'esuberanza dei desideri, non sui meccanismi di rimozione e di sfogo. Una vita spogliata della paura, dell'obbligo, del senso di colpa, dello scambio, della dipendenza.
Perché essa coniuga inseparabilmente la coscienza e il godimento di sé e del mondo. 

ICE di Robert Kramer

L'azione si svolge a New York in un futuro prossimo, che può essere di tre anni o di dieci, ad opera di un immaginario Comitato Nazionale delle Organizzazioni Rivoluzionarie Indipendenti mentre in Messico il Fronte di Liberazione combatte contro il dittatoriale governo spalleggiato da quello U.S.A. Il movimento ha una specie di vertice in Ted e si propone di allargare la lotta a livello nazionale, uscendo dalla clandestinità per mezzo di azioni guerrigliere regionali da fare scattare nella imminente primavera. I problemi tattici e strategici che Ted, Rich, Charlie, Babeuf, Amos, Janie, Diana, Leslie e Barbara, dibattono sono scottanti: collegare i rivoluzionari bianchi con i negri, i portoricani, i messicani, che hanno i medesimi obiettivi, ma nutrono una reciproca incomprensione; svolgere un'attività di base presso i vari quartieri per impedire alla popolazione e agli indecisi di schierarsi da parte degli avversari nel momento della lotta; reclutare nuovi militanti, istruirli militarmente e organizzarli; reperire armi e materiali sufficienti per la buona riuscita della rivoluzione. Quando scatta l'ora della sommossa, le emittenti televisive vengono occupate, le prigioni prese d'assalto e le strade sono invase di giornali ed opuscoli che inneggiano alla libertà e alla lotta contro il potere reazionario. Nonostante la polizia riesca ad eliminare il capo della rivolta, i giovani tornano ad organizzarsi decisi a dare nuovamente battaglia.
Il film si sviluppa come un diario quotidiano di un progetto sovversivo, che, soprattutto all’inizio, pare vissuto più come un’abitudine, un’inclinazione mentale che come un sogno politico vero e proprio. La spinta ideale si spegne nelle discussioni sull’impostazione teorica, nei discorsi sui dettagli organizzativi e nelle chiacchiere sullo stato dell’arte. I dialoghi propongono una sorta di autoanalisi dello spirito sessantottino d’oltreoceano, che si tasta ripetutamente il polso per poi ritrovarsi, sostanzialmente, ogni volta al punto di partenza. La prima parte del film sembra pervasa dai fantasmi di Malcolm X e Pancho Villa, strappati ai poster e ai pamphlet, e tramutati in un fumo ideologico da circolo culturale giovanile, il fumo di un calderone che mescola avanguardia teatrale e sperimentazione cinematografica, emancipazione femminile e terzomondismo, movimento operaio, antirazzismo e rivoluzione messicana. L’utopia ha una forma indistinta, ed è più che altro un atteggiamento, che nasce come rifiuto del potere dello stato oppressore, e che, con le sue mille anime, stenta a trovare un identità. L’unità è raggiunta solo nella seconda parte, nella fase esecutiva, pur nella varietà di mezzi impiegati e nella molteplicità dei fronti di combattimento: l’attacco sfrutta diversi strumenti tecnologici ed è di fatto – come si direbbe oggi – di natura multimediale. Il momento dell’azione arriva all’improvviso, e il passaggio dalla teoria alla pratica è del tutto fluido e naturale, come se gli artefici della rivolta si lasciassero trascinare da una corrente invisibile, che, si può interpretare come una dimostrazione della necessità della rivoluzione. 
Singolare e provocatoria pellicola di impegno politico vicina alle ipotesi della fantapolitica, girata in 16 mm, nella quale gli ideali libertari si sposano alle utopie rivoluzionarie delle frange più estreme della contestazione giovanile. 




mercoledì 2 settembre 2015

La miseria esistenziale dell'intellettuale


La miseria esistenziale dell'intellettuale è il suo essere dilaniato dalla contraddizione tra l'universalità del suo sapere ed il particolarismo della classe dominante di cui è il prodotto. E così si dibatte incarnando l'hegeliana "coscienza infelice" tra referenti da abbandonare e da conquistare... E con questa cattiva coscienza, sorgente del suo malessere, s'allinea ora con il proletariato, ora con i marginali, ora con il terzo mondo, cercando punti fermi sui quali rifondare le proprie rovine, riproponendosi sempre come soggetto attivo, come intellighentia che, rispetto ai fenomeni sviscerati e sezionati col microscopio del sapere, si autopropone come avanguardia esterna dall'alto di quel sapere rubato ai suoi antichi padroni. Tra alterne sorti si dibatte nella disperazione d'essere un eterno orfano. Orfano dei padroni abbandonati senza rifiutarne i privilegi. Orfano del proletariato che sempre lo ha istintivamente rigettato come corpo estraneo. Orfano del terzo mondo che non ha tempo per sintonizzarsi su intelligenti analisi dovendo risolvere, giorno dopo giorno, i suoi urgenti problemi di sopravvivenza. D'esclusione in esclusione, d'elisione in elisione, d'erosione in erosione, s'è ritrovato con altri in un unico ghetto. Allora, spaventati e coinvolti dalle variabili impazzite uscite dalle loro teorizzazioni, hanno incominciato a negoziare la resa sulla pelle di tutti: per reintegrare la loro iniziale posizione di intellighentia. Miserie nella miseria, plagianti plagiati, ma privilegiati che da sempre trovano il nido caldo del figliol prodigo che ritorna alle sue origini... "