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giovedì 9 gennaio 2014

UN MONDO SENZA CUORE

L’appropriazione della natura da parte degli uomini è precisamente l’avventura nella quale siamo imbarcati. Non la si può discutere; ma non si può discutere che si di essa, a partire da essa. Ciò che è sempre in questione, al centro del pensiero e dell’azione moderni, è l’impiego possibile del settore dominato dalla natura. L’ipotesi di insieme su questo impiego comanda le scelte nelle alternative presenti in qualsiasi momento del processo; comanda anche il ritmo e la durata di un’espansione produttiva di ogni settore. L’assenza di ipotesi di insieme, cioè di fatto il monopolio di una sola ipotesi non teorizzata, che è come il prodotto automatico, della cieca crescita del potere attuale, crea quel vuoto che è il destino del pensiero contemporaneo da 40 anni a questa parte.
L’accumulazione della produzione e di capacità tecniche sempre superiori va ancora più in fretta che nelle previsioni del comunismo del XIX secolo. Ma siamo rimasti allo stadio della preistoria con un super-equipaggiamento. Un secolo di tentativi rivoluzionari è fallito nel senso che la vita umana non è stata razionalizzata e appassionata (il progetto di una società senza classi non è stato ancora realizzato). Siamo entrati in un accrescimento di mezzi materiali che non avrà fine, ma che rimane al servizio di interessi fondamentalmente statici, e perciò di valori la cui antica morte è di notorietà pubblica. Lo spirito dei morti incombe pesantemente sulla tecnologia dei vivi. La pianificazione economica che regna ovunque è folle, non tanto per la sua scolatica ossessione dell’arricchimento organizzato degli anni seguenti, quanto per il sangue marcio del passato che solo circola in essa e che viene continuamente risospinto in avanti, ad ogni pulsazione artificiale di questo cuore di un mondo senza cuore.     

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