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giovedì 2 gennaio 2014

IL MITO DELLA CATASTROFE

I segni, i simboli, le immagini in particolare, stimolano pensieri ed emozioni sproporzionati a quello che materialmente sono e raffigurano. Questa reazione emotiva può essere considerata qualche volta una nostra debolezza nei confronti di coloro che usano le immagini per esercitare una qualsivoglia autorità.
Il limite al di là del quale il Brutto ed il Bello non rappresentano più il negativo e il positivo (il Male e il Bene o l’ingiusto e il giusto) ma diventano sublimi entrambi, è è il punto in cui l’estetica passa avanti l’etica, l’emozione alla ragione, il brivido al pensiero, la morte alla vita, l’imbecillità all’intelligenza. Un morto anonimo sulla strada non è bello (non è consumabile), ma mille morti con corpi squarciati e schizzi di sangue ovunque, provocano un brivido, un brivido d’orrore: lo spettacolo non è bello ma è SUBLIME.
Questa è la catastrofe che ci preoccupa con tranquilla allegria. La catatrofe, che letteralmente significa rovesciamento, capovolgimento, è da tempo generalmente intesa come la classe di morte che non riguarda l’individuo ma il gruppo, addirittura la popolazione intera.
È la morte per sciagura, per disastro, per cataclisma.
La distruzione collettiva risponde ad una politica della quantità, che si riscontra in una diversa qualità morte.
E la morte che, dopo la Bomba, nobilitai progetti apocalittici di un uomo legato alla necessità di una sopravvivenza intrisa di violenza.
Nella fantasia di sterminio si assapora il piacere della paura ed il fascino della Perdizione Totale, che sfiorano ma consentono di programmare la salvezza.
(Archivio Bodo's Project: War, Torino 1984)


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