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giovedì 10 ottobre 2013

IL MITO DEL CITTADINO

Per recuperare e disattivare la ribellione sociale, in primo luogo quella dei giovani, contraria alle nuove condizioni del dominio, quelle che obbediscono al meccanismo costruzione/distruzione/ricostruzione tipico dello sviluppo, si mette in movimento una visione degradata della lotta di classe, i cosiddetti movimenti sociali, tra cui quelli delle piattaforme. 
Per quelli che non desiderano un altro ordine sociale, il mito del cittadino può vantaggiosamente sostituire quello del proletariato nei nuovi schemi ideologici. Il cittadinismo è il figlio più legittimo dell’operaismo e del progressismo entrambi antiquati. Non nasce per seppellirli, ma per rivitalizzare il cadavere. In un momento in cui non c’è dialogo più autentico di quello che può esistere tra i nuclei ribelli, esso pretende di dialogare solo con i poteri, aprire breccia da cui provare a negoziare. Ma la comunità degli oppressi non deve cercare di coesistere pacificamente con la società che opprime, poiché la sua esistenza non trova giustificazione che nella lotta contro questa.
Un modo diverso di vivere non deve basarsi sul dialogo e sul negoziato con le istituzioni portati avanti nel modo servile di prima. Il suo rafforzamento non verrà dunque né da una transazione, né da una qualsivoglia crisi economica, ma da una secessione di massa, da una dissidenza generalizzata, da una rottura drastica con la politica e il mercato. In altri termini, da una rivoluzione di nuovo tipo, una rivoluzione da inventare strada facendo. Poiché la strada opposta alla rivoluzione conduce non solo all’infelicità e alla sottomissione ma anche all’estinzione biologica dell’umanità.

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