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giovedì 6 dicembre 2012

LA DECIMA VITTIMA di Elio Petri


In un futuro indeterminato, poiché le guerre sono state abolite, per dare sfogo agli istinti aggressivi dell'individuo è ufficialmente ammessa la caccia all'uomo. Basta far parte di un club internazionale ed assoggettarsi a certe semplici regole che fanno d'ogni membro, di volta in volta, un cacciatore o una preda. I superstiti di dieci "partite di caccia", che sono pochissimi, hanno diritto ad onori trionfali. Caroline, un'americana alla sua nona vittoriosa esperienza, parte per Roma dove vive la sua ultima preda, Marcello, un uomo impegolato in debiti, annoiato da una moglie avida e da un'amante querula. Intende ucciderlo durante uno spettacolo televisivo, allestito appositamente da una compagnia di pubblicità americana presso il Tempio di Venere. Marcello non tarda pero a scoprire l'identità e le intenzioni di Caroline e, avvalendosi dei diritti riconosciutigli dal regolamento, progetta a sua volta di sbarazzarsi della sua cacciatrice nel corso d'un altro trattenimento pubblicitario. Fra un attentato e l'altro, nasce però l'amore, e, schivando gli spari della moglie e dell'amante, ugualmente tradite, cacciatrice e preda si rifugiano insieme su un aereo, dove Marcello non ha altra alternativa che quella di sposare il suo mancato carnefice. 
Se si escludono le derive da commedia romantica, La decima vittima è un concentrato di ironia e perspicacia visionaria con pochi eguali nel panorama cinematografico mondiale. Anziani da consegnare alle autorità, bordelli chiamati camere di relax, party a base di strip e omicidi in diretta. Il film è del '67, ma potrebbe essere un documentario contemporaneo sui vizi della nostra società. E non solo perché il futuro ipotizzato nel film è così simile alla realtà quotidiana che ci si presenta davanti ogni giorno, ma anche grazie al linguaggio utilizzato dai protagonisti, dritto e tagliente.
Tratto dal racconto di Robert Shecklev “The Seventh Victim” Elio Petri imbastisce una vicenda di fantasia per imbastire una denuncia contro il sistema capitalistico, la società della merce e contro l'invadenza dei mass media: gli uomini sono assimilati a merci di consumo, facilmente sostituibili, ed il loro ruolo sociale è circoscritto all'occasione di uno spettacolo di massa. 
Il tema affrontato con pungente sarcasmo e ironia è quello della violenza nella società umana. La società di cui si narra è una società che non rifiuta la violenza in toto, ma che ha deciso di incanalarla con mezzi legali, dando vita ad un assurdo gioco a livello mondiale chiamato La grande caccia. Per necessità finanziarie e solo per dare sfogo alla parte violenta ed egoistica che alberga nell'uomo, liberamente gli individui decidono di partecipare a questo gioco, organizzato da un ministero apposito, il gioco prevede l'eliminazione fisica dei propri rivali. Il concorrente è alternativamente cacciatore e preda e alla fine delle dieci cacce chi sopravviverà verrà idolatrato come un dio e avrà una sorta di intangibilità nonché favori e premi. L'agire violento viene legalizzato e la morte ridotta a gioco, con tanto di sponsor, ghiotta occasione per incrementare le proprie vendite, dato che l'evento è ripreso dalle televisioni di tutto il mondo. Somma ironia la sede centrale della grande caccia, dove si estraggono a sorte le coppie cacciatore-preda è Ginevra (attualmente una delle sedi principali dell'ONU). Il film è influenzato nella parte scenografica dalla pop art e in genere dalla cultura degli anni '60, la fotografia ha la tendenza a riprendere l'impianto della fumettistica e a trasporlo in immagini in movimento.


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