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giovedì 29 novembre 2012

La necessità di spendere come base delle guerre


Sono gli ordini dell’Amministrazione stessa quelli che ora cerchiamo di sviscerare, e tra questi l’ordine attuale dello spreco di persone che sotto pretesti economici ci impartisce. Poiché se anche lo studente di economia meno esperto scopre oggi facilmente la irrazionalità e la stupidità dei conti e delle previsioni delle imprese, o private o statali, ciò non toglie che questi conti fungano da motivazioni serie e razionali delle operazioni belliche di spreco. In effetti non si tratta più, con le nostre guerre, di guadagnare (né terre per Stati né ricchezze per bottegai), ma di sprecare; ed è lo stesso sprecare ciò che sostiene la marcia della macchina economica (i guadagni degli imprenditori non sono più altro che alimento per farli cooperare al processo) e pertanto sostiene gli Stati. Così, chiudendo il ciclo, le nostre guerre tornano dal più progredito al più arcaico, e queste, in cui si cerca di consumare uomini e attrezzi per la pura necessità di consumarli, sembrano in qualche modo quelle primitive di cui si parla, quando la Guerra, ancor prima di essere rapina, era sport e sacrifico necessario. Che lo spreco debba quindi essere indifferentemente di persone o macchine, munizioni e vestiti non è che la cosa più logica: poiché gli uomini capaci di costruire continuamente aerei sempre più cari e bombe intelligenti e depositi di carburante col solo scopo di distruggerli (e tanto meglio quanto più in fretta) non possono essere che gli uomini la cui stessa ragione di essere sta nella stessa distruzione, e più vivi quanto più in fretta si consumano.
Così che una volta sostituite le vecchie cose e persone con la loro contabilità, si producano cose e persone che fin dall’inizio non hanno altro fondamento che quello di elementi di contabilità, e che così, sottomessi gli uomini alle loro stesse leggi di economia possa lo Stato tranquillamente procrearli, immagazzinarli e spenderli come procedimento per mantenere la sua stessa esistenza.

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