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giovedì 27 settembre 2012

LA FINE DELLO STATO


Contro la produttività delle cose e delle persone, contro la falsa gratuità contemplativa che ne è il complemento, lentamente si coalizza quella parte della vita che la prospettiva del potere ha obliato nel cuore delle pietre, degli alberi e delle persone. Nel suo irrompere imprevisto spariranno l’economia e gli Stati, mentre emergerà la società dove la ricchezza tecnica è al servizio della ricchezza dei desideri individuali. Questa è la lotta collettiva che la merce e i suoi storpi si rifiutano di veder montare contro di loro. La nuova sensibilità annuncia un mondo nuovo. L’intelligenza sensuale da forma alla fine definitiva del lavoro e delle separazioni. La vera spontaneità è propria solo dei desideri alla ricerca dell’emancipazione. Essa dissolverà l’incubo millenario dell’economia, la civilizzazione mercantile con le sue banche, le sue prigioni, caserme, fabbriche, la sua noia mortale. Presto costruiremo le nostre case, le nostre strade riscaldate, i nostri percorsi labirintici in una natura riconciliata con la mano dell’uomo. Avremo delle regioni fetali, dei posti d’avventura, dimore ispirate e fluttuanti, altri tempi, dove l’età non avrà più senso e il reale non avrà limiti. Inventeremo dei micro-climi varianti secondo gli umori, e dimenticheremo l’epoca in cui, la burocrazia scientifica, perfezionando le armi della distruzione meteorologica, ci trattava da utopisti. Perché la spontaneità ha l’innocenza di cancellare questo passato terribilmente presente dove niente di ciò che uccide è impossibile,e dove tutto ciò che incita a vivere è tacciato di follia.   

I SHOT THE SHERIFF di Bob Marley


Ho sparato allo sceriffo
Ma non ho sparato al vice, oh no
Da tutte le parti nella mia città
Stanno tentando di rintracciarmi
Dicono che mi vogliono arrestare
Per avere ucciso un vice sceriffo
(ma io dico)
Ho sparato allo sceriffo
Ma giuro che è stata legittima difesa
Ho sparato allo sceriffo
E dicono che è un delitto capitale
Lo sceriffo John Brown mi ha sempre odiato
Per cosa, non lo so ogni volta che piantavo un seme
Lui diceva uccidilo prima che cresca
(l’ho letto sui giornali)
che ho sparato allo sceriffo
ma giuro che è stata legittima difesa
(dove era il vice?)
La libertà mi è venuta incontro un giorno 
e io mi stavo allontanando dalla città
tutt’a un tratto ho visto lo sceriffo John Brown
che mirava per abbattermi
così ho sparato – e l’ho abbattuto e dico
se sono colpevole pagherò
I miei riflessi mi hanno preceduto
E quello che deve essere sarà
Ogni giorno il secchio va al pozzo 
un giorno il fondo si staccherà
un giorno il fondo si staccherà…

NON CEMENTO MA ORTI


In un epoca il cui ritorno del capro espiatorio permette ai politici di rivoltare la collera suscitata dalla dittatura dei poteri finanziari contro lo zingaro, l’ebreo, l’arabo, l’omosessuale, lo straniero quello di fuori, la nostra decisione di creare collettivamente degli spazi e del tempo liberato dal controllo poliziesco della merce deve rimanere il nostro obiettivo primario, perché luoghi di attività siffatti restaurano contemporaneamente la solidarietà e la gratuità, entrambe incompatibili con le dittature del denaro e del potere.
Di questo pianeta devastato ovunque dalla cupidigia, sterilizzato dal profitto, cementificato dal calcolo egoista e assurdo, tocca a noi strapparlo alle multinazionali che lo condannano al deperimento per trarne un ultimo beneficio che investono stupidamente in una bolla speculativa destinata all’implosione.
Riappropriarsi dell’acqua, fertilizzare il suolo, ricorrere alle energie rinnovabili e gratuite, istaurare l’autogestione generalizzata ecco i soli mezzi per salvare la società dal disastro del quale la minaccia quel denaro impazzito che gira a vuoto sfiancandosi e sfiancando quel che rimane di vivo in noi e intorno a noi. La sola arma assoluta capace di sradicare l’economia mercantile è la gratuità della vita, una vita che ha la facoltà di propagarsi per effetto di risonanza.
Non cemento ma orti è un grido di resistenza gioiosa che si diffonderà dappertutto, sradicando poco a poco l’odio nato dalla frustrazione e dal sentimento di essere esclusi dalla propria vita. Vogliamo ritrovare il fascino dell’erranza urbana, il matrimonio tra l’utile e la bellezza, la luminosità di un’orticultura dove possano fiorire anche le opere d’arte che tanti artisti anonimi non hanno mai avuto l’occasione di offrire allo sguardo altrui. Vogliamo disporre liberamente di zone di creazione, di sogno, di poesia; abbiamo un diritto imprescrittibile al godimento dei luoghi dove la vita si restaura per partire all’assalto di un mondo principalmente governato dalla morte.
Non abbiamo bisogno di armi ma sapremo mostrare che le armi del denaro, della corruzione e del potere non vinceranno contro di noi.      

giovedì 20 settembre 2012

STRATEGIE DI SUPERAMENTO DELLA MERCE


In un’accettazione diffusa della vittoria della merce sull’uomo, la politica non gestisce più che lo stato quo. Un colpo per lo Stato e tre per il mercato, secondo i gusti del pubblico, degli azionisti e soprattutto gli uomini d’affari. Se l’opposizione al totalitarismo dell’economia non comincia già nella nostra vita reale di individui, la speranza che l’uomo sia una merce resterà un pio voto, dal quale il corpo è destinato a essere l’altare depresso. Nello spettacolo l’uomo non è che una protesi della merce che consuma.
Certo la redistribuzione della ricchezza alla base lascia molto a desiderare ed esclude anche un numero impressionante di persone, mentre aumenta invece la speranza di sopravvivenza media della popolazione, la produttività è l’economia prospera, tra una crisi e un attentato terrorista.
L’uomo capitalizzato è felice come una vittima consenziente, nel migliore dei mondi spettacolari.
L’ingiustizia dell’economia si basa sull’ineguaglianza del portafoglio delle persone, uguali da un punto di vista astratto in un mondo in cui tutto si paga. Essa condanna nei suoi tribunali della sopravvivenza quotidiana ogni deroga all’obbligo assoluto di pagare il prezzo di qualunque appropriazione, del minimo gesto di vita. La liturgia del potere si compiace a officiare nello spettacolo dell’impotenza collettiva. 
Tutti i nemici veri o presunti dello spettacolo sono rigettati senza distinzione come barbari dall’universo chiuso della grande superficie commerciale alla quale gli uomini economizzati stanno riducendo il mondo. Ogni idea pratica di gratuità e di libertà resta al di fuori di questa cosmologia orribile, e dunque anche qualunque effettiva possibilità di umanità.
La libertà in questo socialismo dello shopping si riduce al consumo e alla rinuncia. Desiderare altrove, desiderare altrimenti, sembra ormai inconcepibile ma, a diversi gradi di coscienza e di risoluzione, la volontà di vivere tutte le sensazioni, tutte le esperienze, tutti i possibili è presente in ogni uomo. Federare la volontà di tutti, rimettendo al centro l’autonomia individuale, emanciparsi dalle basi materiali della verità rovesciata è più che mai il contenuto concreto dell’auto emancipazione della nostra epoca. 

Sulla mentalità da fuorilegge


È ORA DI DISTRUGGERE!
Da qualche tempo si è costituito a Berlino il CONSIGLIO CENTRALE DEI RIBELLI DELL’HASCISC ERRANTI. I Ribelli dell’hascisc hanno dichiarato guerra al terrore poliziesco e della squadra narcotici. Essi hanno organizzato smoke-in pubblici e manifestazioni davanti ai centri di disintossicazione, decisi ad attuare rappresaglie contro la polizia, assistenza legale a favore dei fumatori e un equipe di medici per i flippati. I Ribelli dell’hascisc sono il nucleo militante della controcultura berlinese. Lottano contro il sistema schiavista del capitalismo maturo. Lottano per la libertà di disporre del proprio corpo e della propria vita.
UNITEVI A QUESTA LOTTA!
Formate quadri militanti nelle campagne e nelle metropoli. Mettetevi in contatto con gruppi analoghi. Cagate su questa società della vecchiaia e dei tabù.
Siate pazzi e fate cose belle. Have a Joint. Godetevela. Tutto ciò che vedete e che non vi piace, distruggetelo!
Osate lottare, osate vincere
Saluti anarchici
Il Consiglio centrale dei Ribelli dell’hascisc erranti

(Archivio Storico 1970: volantino dei Ribelli dell'hascisc)

Anarchismo creativo


Il passaggio da una azione rivoluzionaria utopistica ad una fase sperimentale attiva può solo avvenire alla base, nella massa senza passato, con uno scambio di esperienza diretta. Fase che determinerà nuovi modi di scambio, nuove energie di gioco creando continuamente il nuovo e nella società uguale davanti alle cose non permetterà lo sfruttamento delle cosiddette mode, eliminando qualunque detentore di un qualsiasi brevetto. La società senza brevetto con scambio di esperienza perpetua non può che essere una società anarchica contro tutte le organizzazioni. Nella società anarchica creativa ci sarà il non-ordine perché sempre nuovo e quindi impossibile ad ordinare, dirigere, burocratizzare, sfruttare o perlomeno avrà una sola direzione, guidare il plusvalore di questa immensa energia sempre e continuamente nella zona del tempo libero inesausto vulcano di immense creazioni.
La etnozona del tempo libero, dopo la scomparsa della zona produttrice o della grande noia, sarà diviso in due parti: la zona creatrice e la zona di letargo per il soddisfacimento dei desideri.
Quindi le vecchie immagini e abitudini dell’universo non servono più, soltanto il nuovo mondo dei desideri e delle passioni non più frenate che da un nuovo umanesimo. Sarà l’uomo nuovo a creare l’immagine nuova universale che sarà sempre provvisoria. 

giovedì 13 settembre 2012

LA RIVOLTA


La rivolta è una morale in azione, una filosofia della strada che si riconosce e si sviluppa ai bordi della storia. La rivolta mette a fuoco la realtà autorizzata, semina teoria della ribellione nel rovesciamento di forme e mitologie sovvenzionate dal mercato della verità ideologizzata. È un discorso che si sviluppa contro il certo, l’ideale, l’alchimia della politica e il terrorismo della Borsa. Il gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza. La rivolta si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione.
Né dei né miti. La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso si tramuterà così in rivoluzionario.
Occorre di mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali. Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società opulenta. 
Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono una funzione storica. Ma ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi membri, si nutre di vita umana.
Si tratta quindi di porgere un invito a mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale dell’ordine apparente. 
Cancellare dalla mente gli incubi di schiavo, per diventare il re dell’incubo, finalmente superiori a tutti gli altri, chiusi ciascuno nella sua superiorità. Diventare il produttore del film della propria vita. 
Il rifiuto di essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.

GALERA di Sante Notarnicola


Là, dov’era più umido
fecero un fosso enorme
e nella roccia scavarono
nicchie e le sbarrarono

alzarono poi garitte e torrioni
e ci misero dei soldati, a guardia

ci fecero indossare la casacca
e ci chiamarono delinquenti

Infine
vollero sbarrare il cielo

...

non ci riuscirono del tutto

altissimi
guardiamo i gabbiani che volano

Max Stirner e lo Stato


La radice dell’autorità non risiede in un particolare comandamento, ma nel comandamento stesso, nel fatto di comandare. Lo Stato è la forma suprema dell’autorità secolare, che realizza la volontà di potere dell’epoca moderna impersonificata nell’astrazione universalizzante del diritto, per cui questa istituzione dura solo fino a che esiste una volontà dominatrice che viene considerata identica alla propria volontà, cioè fino a che gli uomini acquisiti all’idea che la legge è uguale per tutti, considerano lo Stato una manifestazione del loro volere, tanto da identificarsi in esso e sottomettersi. Per lo Stato nessuno può avere una volontà propria e, se qualcuno dimostra di averla, esso deve escluderlo, rinchiuderlo o esiliarlo. Infatti, se tutti dimostrassero di avere tale volontà, lo Stato non esisterebbe. Lo Stato non è pensabile senza il dominio e la schiavitù; deve dominare tutti coloro che ne fanno parte: questa si chiama appunto volontà dello Stato. Ecco perché ogni stato è dispotico, sia il despota uno solo oppure siano molti o addirittura tutti.
La volontà dominatrice dello Stato si realizza grazie all’universale identificazione nella legge, dato che questa non è più l’emanazione di un signore ma della volontà popolare. Ma l’alienazione statale riposa sull’astrazione dell’ideale umano. Lo Stato moderno cioè lo Stato al suo stato puro, si fonda proprio su questa pretesa di rappresentare istituzionalmente le ragioni dell’idea umana, dell’umanità.
Lo Stato come la Chiesa, non può essere riformato, ma solo abolito. Si tratta di un’abolizione radicale che non ammette deroghe o modifiche perché costituisce la premessa di ogni futuro discorso sulla positività sociale dell’unico: l’esistenza comunitaria di questi dipende dalla non esistenza dello Stato.

giovedì 6 settembre 2012

NESSUNO DOVREBBE MAI LAVORARE


Nessuno dovrebbe mai lavorare.
Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo.
Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro. Per eliminare questa tortura, dobbiamo abolire il lavoro.
Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività produttiva.
Ciò vuol dire invece creare un nuovo stile di vita fondato sul gioco; in altre parole, compiere una rivoluzione ludica. Nel termine “gioco” includo anche i concetti di festa, creatività, socialità, convivialità, e forse anche arte.

SURREALISMO E ANARCHIA


Noi surrealisti stimiamo che una grande revisione delle dottrine si imponga con urgenza. Questa sarà possibile solo se i rivoluzionari esamineranno assieme a tutti i problemi del socialismo allo scopo non di trovarvi una conferma delle proprie idee, bensì di farne sorgere una teoria in grado di dare un impulso nuovo e possente alla Rivoluzione Sociale. La liberazione dell’uomo non potrebbe, se non vuole condannarsi a contraddirsi subito, ridursi al solo piano economico e politico, ma deve estendersi anche al piano etico (risanamento definitivo dei rapporti degli uomini fra loro). Essa è legata alla presa di coscienza da parte delle masse delle loro possibilità rivoluzionarie e a nessun costo può condurre a una società in cui tutti gli uomini, sull’esempio della Russia, siano eguali nella schiavitù.
Intransigenti come siamo col sistema d’oppressione capitalistico, si esprima esso nella forma ipocrita della democrazia borghese e odiosamente colonialistica o assuma l’aspetto di un regime totalitario nazista o staliniano, non possiamo non affermare ancora una volta la nostra ostilità di fondo nei confronti dei due blocchi. Come ogni guerra imperialistica, quella che essi preparano per risolvere i loro conflitti e annientare le volontà rivoluzionarie non è la nostra guerra. Da essa può risultare solo un aggravarsi della miseria, dell’ignoranza e della repressione. Solo dall’azione autonoma dei lavoratori noi ci attendiamo l’opposizione che potrà impedirla e condurre alla sovversione, nel senso di rifacimento assoluto, del mondo attuale.
Questa sovversione, il surrealismo è stato e rimane il solo a intraprenderla sul terreno sensibile che gli è proprio. Il suo sviluppo, la sua penetrazione negli spiriti hanno messo in evidenza l’insuccesso di tutte le forme d’espressione tradizionali e hanno dimostrato che esse erano inadeguate alla manifestazione di una rivolta cosciente dell’artista contro le condizioni materiali e morali imposte all’uomo. La lotta per la sostituzione delle strutture sociali e l’attività profusa dal surrealismo per trasformare le strutture mentali, lungi dall’escludersi, sono complementari. La loro unione dovrà affrettare l’avvento di un era libera da ogni gerarchia e da ogni costrizione.

L'URLO di Tinto Brass


L’urlo di Tinto Brass, ovvero quando Brass faceva ancora della sana sperimentazione, sconvolgendo la struttura narrativa e il linguaggio cinematografico, con gusto acceso della provocazione, estro satirico, aggressività orgiastica. È un film del 1968 (dissequestrato nel 1974), racconta le vicissitudini di Anita, ragazza borghese indifferente e scontenta, che arrestata durante una manifestazione libertaria, viene violentata dal questurino e liberata per l’intercessione del fidanzato, uomo importante. Il giorno delle nozze abbandona il quasi marito per fuggire con Coso un giovanotto di carattere istintivamente rivoluzionario benché non propriamente politicizzato. Il loro comune itinerario verso l’autoliberazione passa attraverso alcune tappe obbligate della cultura anticonformista ma insieme conformistica del nostro tempo. In primo luogo il sesso; nella sordida locanda western che li alberga si incontrano tutte le depravazioni. In secondo luogo sperimentano a loro spese il mito del ritorno alla natura rappresentato da un filosofo nudo con parrucca settecentesca. Poi è la volta dell’intellettuale di sinistra che si nasconde durante una rivoluzione popolare per poi recitare opportunisticamente le parole d’ordine. Infine la repressione antirivoluzionaria raffigurata in prima istanza da un ufficiale stile nazista e poi da uno psichiatra contro il quale i nostri eroi scateneranno la rivolta dei reclusi in un manicomio. Tali sembianze si ritroveranno inoltre in tutte le figure che nel film incarnano l’ordine borghese, per indicare che la repressione è sempre la stessa, procede dalla medesima mentalità conformista e borghese, anche se si esercita in molti modi e in diversi contesti.
Stilisticamente il film sta in pieno nel clima susseguente al maggio francese. Il materiale ideologico adunato da Brass ne L’urlo si presta, pur nell’impasto estroso e lucido del materiale linguistico, a comporre un apologo di chiaro significato antiborghese, antirepressivo, antitotalitario. L'urlo è un'esplosione di rabbia, di nausea, di dolore di chi sente, sempre meno respirabile, l'aria dell'attuale momento storico, carico di morte, di meschinità, di miseria materiale e spirituale. E' un grido di gioia disperato di chi tenta di uscire dalla palude, in cui giorno dopo giorno rischiamo di affogare, è lo spettacolo esaltante della libertà e della vita contrapposto alla umiliante realtà quotidiana della morte e del servilismo che incombono sull'attuale momento storico.