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giovedì 26 gennaio 2012

No copyright - GIU' LE MANI DALLA RETE

Da sempre nella storia dell'uomo chi detiene l'informazione detiene il potere.
I grandi gruppi culturali e d'informazione coprono il mondo intero con satelliti e cavi. Ma possedere tutti i canali d'informazione del mondo ha senso solo se si possiede l'essenziale del contenuto, di cui il copyright costituisce la forma legale di proprietà. Il concetto di diritto d'autore diventa così uno strumento di controllo del bene comune intellettuale e creativo, nelle mani di un ristretto numero di imprese. Diritto fondamentale per le grandi corporation che applicano intensivamente lavoro cognitivo e che producono beni ad alto contenuto di sapere, come le industrie dell'informatica, della musica, del cinema, della farmacologia, della bioetica, è diventato sempre più difficile imporre il concetto di proprietà, devono quindi ricorrere alla repressione, alla violenza e al ricatto per poter imporre la privatizzazione di merce creativa, immateriale e replicante. 
Il copyright è diventato il pretesto per affermare il potere e il guadagno di quelle grandi organizzazioni, con il sostegno del potere politico che in molti paesi ha il controllo più o meno assoluto dell'informazione e che nelle democrazie, quando non riesce a impadronirsene, fa tutto il possibile per guadagnarne la benevolenza.
Possiamo quindi affermare che diritto d'autore, marchi, brevetti rappresentano spazi di recinzione immateriale, filo spinato al libero pensiero, mercificazione dell'alfabeto; rifiutiamo quindi la trasformazione di noi tutti in merce, diciamo no alle leggi di mercato, alla proprietà privata, nessun copyright, nessun notaio o contratto, ma gratuità, mutuo appoggio complicità e piacere. 

Dichiarazione processuale di Emile Henry

Mi avevano detto che le le istituzioni sociali erano basate sulla giustizia e sulla eguaglianza, ed io non constatai invece intorno a me che menzogne e furberie. Ogni giorno che passava, mi toglieva un'illusione. Dovunque andassi , ero testimone degli stessi dolori presso gli uni, degli stessi godimenti presso gli altri; e non tardai a comprendere che le grandi parole le quali mi avevano insegnato a venerare – onore, abnegazione, dovere – non erano che una maschera buttata sulle più vergognose turpitudini.
Tutto questo che vidi mi nauseò, e il mio spirito si diede a criticare l'organizzazione sociale. Questa critica è stata fatta troppo spesso perché io la ricominci. Mi basterà dire che divenni il nemico di una società che giudicai criminale.

Solidarietà ai Resistenti #notav arrestati!

mercoledì 18 gennaio 2012

Ribaltiamo gli spazi urbani

Nonostante la sua necessità di annullare lo spazio, il capitale non può di fatto materialmente riuscirci del tutto e nello scarto prodotto dal contrasto tra questa volontà e la realtà fisica delle città si aprono spazi imprevisti che offrono alle persone possibilità di infiltrarsi, appropriarsi e vivere diversamente dei luoghi, creare delle situazioni.
A distanza di cinquant'anni, nonostante i quartieri e le sue forme di socialità siano irrimediabilmente scomparsi, le pratiche antiutilitarie proposte dai situazionisti restano realizzabili e valide: utilizzare in modo creativo e ludico lo spazio-tempo sociale, riappropriarsi, di spazi abbandonati per praticare forme di autogestione, ricostruire forme di solidarietà e di socialità, sono tutte forme di lotta non solo sempre possibili ma che dimostrano di attrarre le persone che non si rassegnano all'impotenza.
Gli orti urbani, nati negli anni Settanta e in continua espansione, sono un esempio concreto, semplice quanto significativo, di questa attitudine di riappropriazione della città. Il movimento libertario e più tardi i punx anarchici avevano suggerito che solo da un progetto di autocostruzione e autogestione di esperienze condivise può svilupparsi una possibilità di resistenza e ribaltamento della cappa totalitaria del dominio dell'economia.
Oggi più che mai questo bivio è evidente.
Di fronte allo spettro della barbarie, la rabbia nichilista che non riesce a nutrirsi di un progetto costruttivo, risulta sterile. I fuochi, pur appassionati e appassionanti, delle banlieues francesi stanno a dimostrarlo. Contemporaneamente molte lotte portate avanti da schiere di volenterosi militanti ci suggeriscono che il richiamo all'etica e la mobilitazione dell'indignazione degli "altri" contro le peggiori nefandezze e nocività di questo sistema di morte non bastano. E il discrimine tra una lotta partecipata e una autoreferenziale non passa da questioni annose, come la falsa alternativa del pacifismo o all'uso della violenza, ma dal coinvolgimento o meno delle persone in questioni che sentono riguardare da vicino il qualitativo del loro quotidiano, (vedi la TAV in Val Susa).
Per questi motivi, a chi osserva e vuole influenzare i mutamenti in atto, il creare forme di vita ed esperienze condivise, così come l'inventare un nuovo immaginario e nuovi desideri, non appariranno slogan di una rivoluzione utopistica del passato, ma i possibili nodi di svolta per un'ipotesi concreta di una trasformazione dell'esistente, che risulta più necessaria e urgente che mai.

TIRED EYES - Neil Young

Ha ammazzato quattro uomini per un affare di cocaina
Li ha abbandonati per terra in uno spiazzo
Pieno di auto sfasciate con fori di pallottola nei retrovisori.
Ci ha provato, a fare del suo meglio, non c'è riuscito.
Vi prego ascoltate i miei consigli,
Ascoltate vi prego, ascoltate i miei consigli.
Aprite gli occhi stanchi,
Aprite gli occhi stanchi.
Chi avrebbe mai creduto di vederlo cadere tanto in basso?
Ma hanno bruciato suo fratello, sapete,
E l'hanno lasciato steso in mezzo all'autostrada.
Abbandonato con niente.
Ci ha provato, a fare del suo meglio, non c'è riuscito.
Dimmi di più, dimmi di più, dimmi di più;
Voglio dire era uno scoppiato duro o solo un perdente?
Era un amico tuo.
Che intendi dire, aveva fori di pallottola nel retrovisore,
Ci ha provato, a fare del suo meglio e non c'è riuscito?





Il cielo lo si deve assaltare ogni giorno sulla terra.

La lotta contro il potere, anche nelle sue forme più sottili, più interiorizzate, è l'unica strada per conquistare la gioia reale di vivere, di amare, di giocare. Certo questo può non essere facile, poiché spesso la lotta per la sopravvivenza ti inaridisce e ti ottunde. Spesso risulta estremamente difficile scollarsi dai ruoli che i rapporti sociali impongono e che tutti sembrano richiedere. E' essenziale comunque gettare tutta la propria passione nella continua ricerca di una condotta che spacchi l'esistente, di una condotta che ti permetta di giocare con i ruoli e contro di essi senza mai accettarne la corazza. Non ci si può identificare in null'altro che non sia il nostro processo di negazione. Giocare sui ruoli e contro di essi è già di per sé un gioco appassionante, esaltante, un gioco reale, in cui l'unico avversario da superare è la noia, l'insipienza. Tutto  esprime dei bisogni effettivi, e perciò delle funzioni vitali. E' splendido fare l'amore, fare la rivoluzione, distruggere l'esistente e, nel contempo, creare situazioni nuove, rapporti veri, erotici. Tuttavia talvolta queste funzioni vive si congelano, si fissano, si ripetono in modo difensivo e/o spettacolare, in altre parole diventano ruoli. 
Credo che tutti abbiano presente cosa significhi, l'amante o il rivoluzionario quando sono senza amore e senza passione; semplicemente divengono “il marito” ed “il politico”. C'è insomma sempre il rischio di svilire la forza dei propri desideri, di trasformare i bisogni in immagini, in rappresentazioni di se stessi, appunto in ruoli.
Il cielo non lo si conquista per meriti speciali, lo si deve assaltare ogni giorno sulla terra.
L'ironia è un'arma formidabile di demistificazione, di umanità; permette di cogliere la punta di grottesco che affiora sempre, anche nel dramma, e quindi aiuta a non frantumarsi né sulla Scilla della depressione, dell'autocommiserazione, né sulla Cariddi del trionfalismo, dell'autovalorizzazione.

giovedì 12 gennaio 2012

Una risata vi seppellirà

L'umorismo è una profanazione perpetua, una costante provocazione del profano al sacro. Laddove l'uomo sa ridere, sparisce l'ombra degli dei.     Ridere del dominio non basta ma è già l'inizio di una resistenza. Introducendo il dubbio nella sottomissione, l'ironia e il sarcasmo armano i rivoluzionari, aggrediscono il dispotismo e l'ingiustizia, indeboliscono la servitù volontaria. Le risate scavano in anticipo il fosso dove finiscono sepolti i tiranni che l'intelligenza sensibile stana e che gli uomini liberi combattono. La laicità ideologica della borghesia rivoluzionaria ha avuto il torto di prendersi talmente sul serio di fare della ragione una dea. In un contesto pesante dove tutto diventa stupidamente tragico, banale, ineluttabile, lo spettacolo integrato è oggi una farsa totalitaria organizzata. L'umorismo contribuisce a preservare fino all'ultimo soffio di vita la possibilità della leggerezza. Mostrare col dito, con la penna o con la matita il ridicolo del potere; ecco qualcosa che favorisce già la vita e apre un cammino al rovesciamento di prospettiva. Il potere che si esercita sugli uomini sottomessi si indebolisce quando questi alzano la testa con un sorriso sulle labbra. La loro muscolatura si rilassa, le loro smorfie da credenti, da cantanti di inni patriottici e da seguaci di liturgie idiote si disfano. La loro umanità dimenticata ritrova i sensi perduti della felicità, solo luce che continua a guidare donne e uomini in questa effimera e meravigliosa avventura che è la vita.  

I Diavoli di Ken Russell

I Diavoli, una delle opere più sconvolgenti dell'ultimo cinema inglese: un impasto di sacrilegio e di oscenità, di orrori e di perfidie, servito caldo dal regista Ken Russell con una bravura spettacolare. Mai, infatti, il cinema aveva raggiunto come nei Diavoli, tratto dall'omonimo dramma di John Whiting e dal romanzo di Aldous Huxley, a loro volta ispirati a una larga tradizione storica e letteraria, una tale violenza nell'ordine della polemica contro la Chiesa; mai le infamie della caccia alle streghe erano state rievocate con tanta voluttà di sadismo; mai la nostra civiltà permissiva aveva condotto, in un film per le grandi platee, a tale profanazione dei simboli sacri.
Caso raro, persino il cronista si troverebbe in imbarazzo se dovesse scendere in particolari, e diffondersi sul tipo di torture cui sono sottoposte, nel Convento delle Orsoline, Madre Giovanna degli Angeli e le sue consorelle, possedute dai preti per essere spossessate dei demoni. Il rinvio più pertinente sarebbe a certe riviste pornografiche che alimentano le più sconce fantasie mescolando il diavolo e l'acqua santa.
Il film è ambientato nella Francia del Seicento, nel clima infuocato delle guerre di religione, quando Richelieu, perseguendo il suo disegno di una politica accentratrice, cerca di convincere il fatuo Luigi XIII a soffocare le velleità autonomiste delle piccole città di provincia. Fra queste c'è appunto Loudun, che ha valorosamente saputo conservare la propria indipendenza, ed ora, morto di peste il governatore, confida in un prete battagliero, padre Grandier, grandissimo peccatore nella carne ma anche gelosissimo custode della libertà municipale. L'uomo è un gigante del vizio, tormentato dal rimorso e tuttavia incapace di rifiutare le grazie di tutte le donne che, conquistate dalla sua virile prestanza, gli si vengono a offrire (e le monache di clausura, al solo vederlo passare, si struggono di desiderio). È questa fama di libertino, ribadita dalle nozze blasfeme celebrate con una Maddalena del luogo, che porta alla rovina padre Grandier (Oliver Reed) e la sua città. Quando infatti un inviato di Richelieu, il barone Laubardemont, viene ad eseguire l'ordine di demolire le fortificazioni col pretesto che Loudun può essere un buon riparo per gli Ugonotti, e Grandier fieramente gli si oppone, agli uomini del re e ai mariti traditi è facile montare una campagna di calunnie contro il prete, per staccarlo dal popolo e impadronirsi della città: basta che la superiora del convento lo accusi di stregoneria. Impresa tanto più agevole quanto più l'isterica madre Giovanna è a sua volta vittima di diaboliche visioni, dove il prete le appare come un Cristo osceno, cui si abbandona in un delirio di lascivia. Sicché l'operazione riesce. Sottoposte le monache a immondi esorcismi che scatenano le loro voglie represse, e trasformate chiese e conventi in un sabbah mostruoso, l'uomo innocente viene arrestato, sottoposto alle più crudeli torture, e finalmente condannato al rogo. Come vuole la regola, i vincitori pretendono che egli, prima di morire, confessi colpe non commesse, ma Grandier non cede, e invano ammonisce il popolo perché continui a difendere la propria autonomia: nella sua matta bestialità, la folla applaude al supplizio, soltanto Maddalena, abbattute da Laubardemont le mura, presidio di libertà, fugge da Loudun. La perfidia politica e il fanatismo religioso, alleati al gusto del sadico, ancora una volta hanno vinto. 
Sull'intelligenza e la maestria di Russell non sussistono dubbi: basti vedere con quante invenzioni scenografiche, mischiando il balletto alla tregenda, i profumi dell'altare ai miasmi delle fogne, il mistico all'ignobile, egli conferisca un crescendo spasmodico alla sua rappresentazione della perfidia e dell'empietà, sino a darci il disgusto insieme della carne e d'un certo cattolicesimo. I diavoli è un film affascinante, disturbante, dissacrante, provocatorio, delirante. Si possono usare tante iperboli per descrivere un’'opera assolutamente anticonvenzionale, che fa a pezzi luoghi comuni, che sbatte in prima pagina, per usare un gergo giornalistico, una serie di tematiche scomode, come quella che denuncia l'’abominevole legame tra potere politico e religioso, che si materializza nell'’uso indiscriminato della tortura, un sistema attraverso il quale l’uomo viene ridotto a rango di bestia, incapace di capire il valore della sua dignità e preda quindi dell’'istinto di sopravvivenza. Teatrale, eccessivo, visionario, il film scaraventa la sensibilità psichedelica e underground nel romanzo storico, deflagrando in un caleidoscopio immaginifico ma soprattutto concettualmente sconvolgente. Un vero trip nel quale eros, potere e rito, concetti chiave della controcultura moderna, trovano nell’'antichità un’esemplificazione potente, che Russell arricchisce con gusto eccentrico e provocatorio, fra la peste e le torture. 

INDUSTRIALISMO

Una componente fondamentale della struttura tecno-capitalistica moderna è l'industrialismo, il sistema di produzione meccanizzato fondato sul potere accentrato e sullo sfruttamento delle persone e della natura. L'industrialismo non può esistere senza genocidio, ecocidio e colonialismo. Al fine di preservarlo, la coercizione, la requisizione di terreni, il lavoro forzato, l'annientamento culturale, l'assimilazione, la devastazione ecologica e il commercio globale sono accettati come interventi necessari e persino benefici. L'uniformazione della vita operata dall'industrialismo oggettiva la vita stessa e la trasforma in merce, in quanto considera tutte le forme di vita come una risorsa potenziale. La critica dell'industrialismo è un'estensione naturale della critica anarchica dello Stato, perché l'industrialismo è intrinsecamente autoritario. Per preservare una società industriale, è necessario conquistare e colonizzare territori al fine di acquisire risorse (in genere) non rinnovabili per alimentare e ingrassare le macchine. Questo colonialismo è razionalizzato dal razzismo, dal sessismo e dallo sciovinismo culturale. Nel processo di acquisizione delle risorse, intere popolazioni devono  essere costrette a lasciare la propria terra. Per convincere le persone a lavorare nelle fabbriche che producono macchine, è necessario schiavizzarle, renderle dipendenti e in vari modi sottomesse al sistema industriale distruttivo, tossico e degradante. L'industrialismo non può esistere senza un fortissimo accentramento e un'enorme specializzazione: il dominio di classe è uno strumento del sistema industriale che nega agli individui l'accesso alle risorse e alla conoscenza, rendendoli impotenti e facili da sfruttare. Per perpetuare la sua esistenza, l'industrialismo esige inoltre la spedizione di risorse da ogni punto del globo, e questo globalismo mina le basi dell'autonomia locale e dell'autosufficienza. L'industrialismo si fonda su una visione meccanicistica del mondo, la stessa visione del mondo che ha giustificato la schiavitù, gli stermini e la sottomissione delle donne. Dovrebbe essere ovvio a tutti che l'industrialismo non solo opprime gli esseri umani, ma è anche fondamentalmente distruttivo a livello ecologico.

giovedì 5 gennaio 2012

IL TEMPO PRESENTE

Il tempo presente, questo fenomeno viene anche chiamato: "l'effetto egizio" ovvero il compimento del tempo.
Tipica infatti della civiltà egizia è la tendenza ad annullare in un'unica dimensione temporale l'antico e il nuovo, ponendoli l'uno accanto all'altro e lasciando aperta la contraddizione che ne deriva. Da questo deriva quella impressione di  enigmatica sincronicità e quasi di compimento del tempo che le produzioni egizie ispirano. Oggi questa pienezza del tempo, questo imporsi del presente come sua unica dimensione, si manifesta nella contrazione, nell'identificazione nel reciproco annullamento delle nozioni fino a ieri opposte di attualità e repertorio, di evidenza ed archivio, di esposizione e magazzino. L'’esempio più chiaro di tale fenomeno è fornito dalla nuova tecnologia televisiva: con i videoregistratori, DVD e con i nuovi accessori televisivi ciò che ritorna subito è il presente stesso, il quale, sottratto alla propria unicità, sembra sempre sul punto di ripetersi immediatamente oppure di essere già stato un istante prima. Se registro una trasmissione in diretta per vederla due minuti dopo, essa perde completamente il brivido dell'attualità e viceversa il poter disporre mediante la telematica di una quantità sterminata di immagini e d'informazioni trasforma la mera ricezione in un fatto presente.
Se tutto può essere ritardato, niente è attuale e, reciprocamente, se tutto può diventare immediatamente presente, tutto è repertorio. Non si tratta più soltanto di quella incredibile contrazione del passato, per cui le notizie di un mese fa sembrano altrettanto remote quanto la storia di duemila anni fa, e la preistoria altrettanto prossima quanto i fatti dell'altro ieri, ma di una enigmatica compresenza di passato e presente, che esclude insieme la possibilità di esperire l'attimo vissuto e di risalire ad un principio, ad un'origine; il presente è diventato un passato che ritorna subito, e il passato è un presente potenziale che può essere reso attuale in qualsiasi momento.

Joe Hill - Testamento

Il mio testamento è facile da stabilire,
Perché non ho nulla da dividere,
La mia famiglia non ha bisogno di lamentarsi e piangere
Il muschio non attecchisce alla pietra rotolante
Il mio corpo? Ah, se potessi scegliere,
Io lo lascerei ridurre in cenere,
E le brezze leggere trasportare
la mia polvere là dove qualche fiore germoglierebbe.
Così che un fiore appassito
Ritornerebbe alla vita e fiorirebbe di nuovo.
Questa è la mia ultima e finale volontà,
Buona fortuna a tutti, Joe Hill.


Non perdete tempo nel lutto. Organizzatevi! 

1905-WOBBLIES-PREAMBOLO

La classe lavoratrice e quella capitalista non hanno nulla in comune. Non vi può essere pace mentre la fame e la povertà regnano fra i milioni di lavoratori ed i pochi, che compongono la classe padronale, hanno tutte le ricchezze della vita. Fra queste due classi la lotta dovrà svolgersi finché tutti i lavoratori non si riuniranno sul campo politico, come su quello economico, per prendere e tenere quello che essi hanno prodotto con il loro lavoro, attraverso una organizzazione economica dei produttori senza affiliazioni con qualsiasi partito politico. L'accentrarsi sempre crescente della ricchezza e del controllo delle industrie in un numero sempre minore di mani, rende i sindacati di mestiere inabili ad affrontare la potenza crescente del capitalismo, poiché le unioni di mestiere permettono uno stato di cose in cui un gruppo di lavoratori possono essere posti contro un altro gruppo di lavoratori della medesima industria, apportando così la disfatta nelle lotte del lavoro. Le unioni di mestiere aiutano anche la classe padronale ad inculcare nei lavoratori la falsa credenza che la classe operaia ha degli interessi in comune con la classe padronale. Queste condizioni disagevoli possono essere cambiate e gli interessi della classe lavoratrice ben difesi solamente da un'organizzazione formata in tal modo che tutti i suoi membri di una data industria, ed anche in tutte le industrie se necessario, possano abbandonare il lavoro quando esiste uno sciopero o serrata in un dipartimento di essa, facendo si che un'offesa fatta ad uno diventi un'offesa fatta a tutti.