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mercoledì 21 dicembre 2011

RIFIUTO DEL LAVORO

Sostituendosi al potenziale creativo, il lavoro penetra nell'evoluzione con una micidiale forza di frammentazione. Sotto l'onda d'urto dei gesti ripetitivi, dei comportamenti lucrativi, dei modi servili e tirannici, la ricchezza dell'essere si decompone in una paccottiglia di idee e di oggetti triturati e selezionati dai meccanismi dell'avere.
La necessità di produrre e di consumare beni materiali e spirituali rimuove la realtà dei desideri, la nega nel nome di una realtà forgiata dall'economia. 
La storia mostra con una precisione crescente come il lavoro perfezioni la meccanizzazione dell'individuo e della società nella misura in cui la merce estende il suo impero sulla terra e nel corpo.
C'è qualcosa di artigianale nel martellamento originario del godimento e nell'orgia, la sommossa, il massacro in cui il godimento si sfoga non appena rallenta il lavoro regolatore del re, del prete, del funzionario, del plebeo, dello schiavo. 
C'è un'universalità industriale nei furori rivoluzionari che imprimono allo sfogo delle passioni oppresse la coscienza di un imminente cambiamento sociale. Ma che disillusione, anche lei universale, quando appare chiaro che le rivoluzioni non hanno fatto che tradurre il passaggio da uno stadio economico ad un altro, e che le nuove libertà non includono affatto la libertà di godere.
Solo il lavoro che trasforma il mondo è stato il motore di un progresso che ha propagato ovunque la sconfitta dell'umano e l'immagine della sua vittoria. Da quando l'obbligo di produrre si è prolungato in persuasione di consumare, il lavoro si è trasformato da oggetto di orrore in soggetto di soddisfazione. 
La merce ha sfruttato così bene fino ai suoi limiti l'energia della vita terrestre ed individuale che un grande languore spinge alla morte la foresta incantata di Broceliande e il meraviglioso desiderio di amare che essa ispira.
Chi si ostina a partecipare a questo tipo di mondo si impantana nei tic e nelle ripetizioni del suo stesso rintocco funebre. Tutto il suo discorso, come la sua esistenza, si riduce a un' orazione funebre. È ormai al crocevia tra la morte consentita e la vita da creare che si gioca la posta del destino.

Organizzazione orizzontale,partecipativa e includente

L'obiettivo degli zapatisti è quello di costruire uno spazio di incontro. Non si tratta di creare una struttura, un apparato, ma uno spazio orizzontale e ugualitario, una sorta di pubblica piazza (l'agora dei greci), dove scorra la parola e la comunicazione tra soggetti uguali. Dove è fondamentale non imporre l'idea, ma unire pensieri e lotte, che si pensino con cuore e testa, quindi:"Non vincere il fratello approfittando della sua debolezza o della sua ignoranza. Non fare con i nostri fratelli ciò che il potere fa con noi".
Sono un'assemblea quando sono assieme e una rete quando sono separati, rifiutano le organizzazioni nelle quali prevale l'accumulazione di potere, il verticalismo con dirigenti stabili e permanenti, che invece di puntare sulla visibilità, fanno tutto il contrario. Privilegiano l'accento sui metodi partecipativi e non sul sistema di commissioni che si presta alla messa in luce personale e alla leadership individuale, non praticano il modello piramidale ma quello circolare,con una leadership collettiva. Tendono ponti e si trasformano essi stessi in ponti, così come dei vasi comunicanti in una ricerca permanente che consiste nel tessere una rete di spazi di incontro e di riflessione per la lotta. 
Questo tipo di modo di fare le cose - parliamo di organizzazione, in mancanza di un altro vocabolo - pone al centro l'essere umano in qualità di soggetto e non di oggetto. 
Considera che sono i mezzi a giustificare il fine, che l'ordine non si impone, ma si trova, si scopre, si tesse e che il potere è utile se il disegno è ripartito e articolato come un tessuto. Un potere sparso, condiviso e non concentrato; un tessuto auto-creativo e auto-gestito. Una proposta che può sembrare, oltretutto, caotica, disordinata, non fissa e stabile come nell'organizzazione tradizionale. 
Una proposta che però non funziona al ritmo imposto dalla politica dei poteri stabiliti ma a un altro più lento, se lo si giudica attraverso i parametri del tempo/efficienza. è un tipo di cultura che incoraggia l'emancipazione.
La formulazione teorica più rifinita conosciuta in questa direzione, nella cultura occidentale, è quella realizzata da Guattari e Deleuze nel loro saggio Rizoma, nel quale gli autori difendono un tipo di organizzazione orizzontale, senza un centro, mobile, una rete di reti nella quale ogni parte abbia la sua autonomia e possa interconnettersi direttamente con le altre senza dover passare da un vertice organizzativo, anche perché tale vertice non esiste.
Mentre la sinistra classica, tanto la riformista quanto la rivoluzionaria, riproduce al suo interno le strutture di dominio del sistema, gli zapatisti non puntano a cambiare di padrone ma ad abolire la figura del padrone. Non vogliono sostituire le attuali classi dominanti e i suoi poteri ma invece entrano in conflitto con l'idea di classe dominante. È per questo che gli zapatisti dicono di lottare non affinché le scale si scopino dall' alto verso il basso, "ma affinché non ci siano scale, non ci siano regni".
Il neozapatismo incarna il mondo nuovo non solo verso fuori ma anche, e soprattutto, verso dentro. Si tratta di un soggetto collettivo che rappresenta un nuovo rapporto sociale, democratico e non autoritario, orizzontale e non verticale, partecipativo e includente e non autoritario ed escludente.

lunedì 19 dicembre 2011

SCIOPERO GENERALE E ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

La lotta di conquista deve venir condotta con delle armi  adeguate e non più soltanto di difesa. Occorre che si sviluppi una nuova idea di organizzazione naturalmente antagonista ai governi del capitalismo finanziario; deve sorgere spontaneamente sui luoghi di lavoro e riunire tutti i lavoratori, per il fatto che, in quanto produttori, tutti sono assoggettati ad un’autorità che è loro estranea e dalla quale devono liberarsi.
Ecco l’origine della libertà: l’originarsi di una formazione sociale che, estendendosi rapidamente ed universalmente, creerà le condizioni per eliminare dal campo economico lo sfruttatore e l’intermediario, creerà le condizioni di divenire padroni della proprio futuro. 
Nella nuova organizzazione “consiliare”, l’uguaglianza reale di tutti nelle decisioni e nella loro esecuzione non può essere un vuoto slogan, una rivendicazione astratta, è una necessita imprescindibile e irrinunciabile. Affinché la nuova organizzazione abbia globalmente tutte le capacità necessarie, bisogna, in modo complementare, che nessuna gerarchia delle capacità individuali possa essere permessa. Il solo gioco che vale la pena: è la distruzione del vecchio mondo, dei suoi schemi, delle sue corruzioni. I lavoratori quale che siano i loro “contratti” si trovano ad essere, ancora e sempre, la forza centrale che può bloccare il funzionamento di questo sistema di sviluppo, la forza indispensabile per reinventare tutte le basi dei rapporti sociali. Questa nuova organizzazione a struttura quindi “consigliare” deve evidentemente unire tutte le categorie di salariati, di precari, di intellettuali.  I Consigli devono essere “potenza”, o non potranno essere niente, sono loro che dovranno  dettare i tempi, il ritmo delle lotte, non potrà nascere alcun dialogo con i partiti o con le tradizionali organizzazioni sindacali collusi fra loro e con il potere economico, alla fine essi, come sempre, tradiranno le lotte dei lavoratori. Con la leva dei Consigli e il punto di appoggio di una negazione totale della società mercantile-spettacolare, si può sollevare il mondo intero. La vittoria dei Consigli non si pone dunque alla fine, bensì all’inizio del percorso rivoluzionario.  Ne consegue che l'unico sciopero generale vero che può essere dichiarato è quello derivante dalla azione diretta  spontanea, inarrestabile  improvvisa, aspra, irriducibile e gioiosa che nasce dal cuore e dalle menti di coloro che vogliono intraprendere l'entusiasmante strada della riconquista della propria soggettività.



giovedì 15 dicembre 2011

PSICHIATRIA COME CONTROLLO SOCIALE

Nei tempi più antichi gli uomini hanno scoperto che certe sostanze potevano essere utili, ad esempio contro il dolore, oppure contro la malinconia e per questo hanno cercato di usarle a loro vantaggio. Contro il dolore fisico e poi anche per cambiare lo stato d'animo, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche in senso cerimoniale e religioso. Bisogna distinguere due aspetti che partendo dall'antichità arrivano ai tempi nostri. 
Un aspetto sull'uso di queste sostanze riguarda l'utilizzo deciso dalle persone per avere dei vantaggi: se queste sostanze vengono usate bene ci sono dei vantaggi e insieme, come succede sempre nella farmacologia anche dei rischi. Una cosa è se uno decide per se stesso della propria vita, sia per effetti di miglioramento delle proprie condizioni, sia per scopi rituali; l'altro aspetto e se sono le autorità e le istituzioni a decidere. Naturalmente le autorità hanno sempre capito che la salute e il benessere, sia fisico sia psicologico, sono importanti per ognuno di noi e si sono impadronite della salute e del benessere, o meglio del controllo della salute e del benessere, per avere dei sudditi a disposizione per eventualmente controllare, ma anche ricattare, perché quando uno ha in gioco il proprio benessere è disposto a sottomettersi.
Il conflitto fondamentale, per quanto riguarda psichiatria e antipsichiatria, non è tanto sul significato chimico delle sostanze, quanto sul fatto che un cittadino possa decidere quello che vuole prendere  e quello che non vuole prendere.
La psichiatria dice che deve essere lo psichiatra a decidere e anche a forzare il paziente. 
Noi pensiamo che deve essere il paziente o cittadino a decidere perché se no questo diventa una violazione della libertà delle persone.
La medicina, in generale, ha una struttura autoritaria perché il medico, come il sacerdote egiziano che aveva in mano il rapporto della medicina con la salute, non si limita a curare le persone dietro loro richiesta, ma pensa di interferire con la vita della persona, controllarla sia individualmente che socialmente. 
Quindi il ruolo della psichiatria è molto semplice a dirsi: è il controllo sociale.

La lotta della Val di Susa è anche la nostra.

La distruzione di questa piccola valle alpina sull'altare dell'Alta Velocità Economica (traffico merci e passeggeri) è solo una delle condizioni necessarie alla distruzione creatrice di profitto e di potenza per i tecnocrati del Piemonte per arricchirsi mentre i loro abitanti dovranno accontentarsi, nel migliore dei casi, a lavorare come servi al servizio di quadri aziendali e di macchine, in un ambiente devastato dalle infrastrutture.
Si capisce bene che si tratta di distruggere gli uomini e di sconvolgere i territori affinché, nell'epoca dell'economia planetaria unificata, quelli che decidono per noi possano continuare a rivaleggiare con quelli che decidono nelle altre parti del mondo. Ma a noi non interessa né il patriottismo e né la guerra economica. 
Noi non vogliamo morire di noia e di lavoro al servizio dei nostri generali economici.
Noi siamo vigliacchi, pigri e disfattisti.
Non vogliamo,  abitare in una "via express" costeggiata da facciate in vetro cromato e da centri commerciali. 
Non vogliamo passeggiare in giorni prestabiliti, nella neve coltivata dei parchi artificiali, sotto il radiatore climatico.
Non vogliamo essere dei robot sociali, in quattrocento per kmquadro, allevati in batteria dentro a degli agglomerati urbani intelligenti.
Non vogliamo essere competitivi.
Non vogliamo attirare nessuno, tanto meno gli investitori di capitali. Al contrario, che se ne vadano, ciò farà abbassare i costi dei terreni, degli immobili e della vita. Noi siamo retrogradi. Vogliamo i lupi, gli orsi, i ghiacciai, le stagioni. Vogliamo i contadini nelle nostre campagne, Vogliamo mangiare quello che produciamo, non quello che arriva con gli aerei, i camion e i treni che distruggono al loro passaggio clima e paesaggio. Così come non vogliamo che le cisterne di latte vadano chissà dove per essere trasformati in formaggi, confezionati in qualche fabbrica europea per essere poi venduti nei supermercati piemontesi. 
A noi manca terribilmente l'ambizione: vogliamo mangiare la toma acquistata dal contadino vicino, vorremmo semplicemente vivere in una vera casa con vecchie pietre, tra le nostre montagne, nella nostra valle senza rotaie di ferro, traverse cementate e ferite profonde nella roccia.

CRISI DEL CAPITALISMO FINANZIARIO

Larga parte del mondo sta scendendo nelle strade e nelle piazze, un movimento  ampio polimorfo intransigente forse non del tutto consapevole una sollevazione diffusa che occupa tenacemente le piazze del potere. Politici dirigenti, banchieri affamatori in genere sorridono nervosamente, si invita alla calma alla tolleranza alla compostezza. Nei loro occhi c'è paura, essi sanno che questo movimento non smobiliterà, per la semplice ragione che questa sollevazione non propone soltanto principi morali o ideologie, ma si fonda sulla materialità di una condizione di precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente, di assenza di vita e di futuro. L'energia che lo muove è la rabbia. La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, altre volte i mostri dell'irrazionalità. La violenza infinita del capitalismo nella sua fase agonica può produrre patologie mortali,le convulsioni della  società dello spettacolo ferita e incapace di riprodursi generano mostri di ogni genere: razzismo, fascismo, nazismo. E' ciò a cui stiamo assistendo in molti luoghi del globo, Torino, Firenze, Liegi, Utoya sono solo alcuni sintomi del risveglio del mostro che mai vinto sopravvive negli angoli più oscuri e cancrenosi delle menti di coloro che si nutrono di odio e morte, dei figli prediletti di questa società mercantile avida di vite e speranze. 
Tutto questo può non piacere. Ma questo è.
La dittatura della capitalismo sta nella mente di tutti coloro che non sanno immaginare una forma di vita libera.
Nei prossimi anni probabilmente continueremo ad assistere a continui sussulti del mostro che sopravvive fra noi e in noi. Assisteremo a violenze senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi non può mandare a scuola i propri figli, di chi non arriva a fine mese, di chi perde la casa, di chi non ha più niente  mangiare, violenza senza capo né coda da parte delle istituzioni poliziesche degli stati, un esercito di morti viventi di zombie alla ricerca di un nemico immaginario da assassinare, da bruciare, da colpire, da violentare. Uomini e donne di un altro colore, omosessuali, zingari, giovani resistenti, miserabili, insomma  coloro che per qualche motivo risultano essere diversi, coloro che più o meno consapevolmente risultano essere eretici nei confronti della dottrina dominante della società della merce, saranno inevitabilmente i bersagli di tale esercito di assassini. Occorrerà allora avere nervi saldi occorrerà intelligenza e lucidità, dovremo far fronte alla follia mantenendo il nostro spirito limpido, la visione chiara e consapevole del fatto che non c’è altro colpevole che il sistema mercantile della rapina sistematica che prosciuga l'essenza delle nostre vite. Ma in tutti i casi occorre non dimenticare, che è indispensabile stanare il mostro dai lerci anfratti in cui si nasconde, non dovremo dimenticare di ripulire i covi del nazismo e del fascismo, dovremo inesorabilmente tacitare una volta per tutte gli apologeti delle diversità raziale quale che siano i pulpiti da cui vomitano le loro più o meno ambigue o sottese parole.
Dobbiamo proteggere i nostri fratelli, i nostri compagni, nessuno deve restare indietro alla mercè di questi assassini.    

mercoledì 7 dicembre 2011

I MOVIMENTI LIBERTARI

I movimenti libertari da sempre hanno fondato il loro agire sull'etica della pratica rivoluzionaria. E' necessario che i mezzi siano adeguati ai fini poichè c'è la consapevolezza che alcuna libertà è possibile con mezzi autoritari, al centro la necessità di dare forma concreta alla società che si desidera realizzare a partire dalle proprie relazioni personali. Conseguentemente non esiste un’unica “Grande teoria anarchica”, poiché questa sarebbe contraria ai suoi stessi presupposti. E' diffusa invece una forza , una passione nel diffondere i valori condivisi che nasce nello spirito e nel cuore dei processi del partecipazionismo anarchico, nei piccoli gruppi di affinità che non è settaria o prevaricatrice o autoritaria.
Ne deriva quindi il riconoscere il bisogno di differenti prospettive teoriche, unite da un insieme di impegni e analisi condivise, una discussione che si concentra su questioni pratiche, che tiene conto inevitabilmente di una serie di prospettive differenti, riunite dal desiderio condiviso di comprendere la condizione umana, in moto verso una libertà più grande. Pertanto prende forma una cosiddetta “teoria bassa”, piuttosto che una “teoria alta”, necessaria per fare i conti con i problemi reali e immediati che emergono nel corso di un progetto di trasformazione della realtà. Ad esempio: contro il concetto di “linea politica” che è la negazione stessa della politica, contro “l’anti-utopismo”; Una teoria sociale anarchica non può quindi che rifiutare in maniera consapevole ogni residuale avanguardismo. Il compito dei movimenti libertari è quindi guardare chi sta creando alternative percorribili, cercare di immaginare quali potrebbero essere le più vaste implicazioni di ciò che si sta già facendo, e quindi riportare queste idee, non come disposizioni, ma come contributi e possibilità.
Un progetto libertario dovrebbe avere due momenti: “uno etnografico e l’altro utopico, in costante dialettica fra loro, che siano in grado di produrre forme di contropotere: il mondo contemporaneo è pieno di testimonianze libertarie, di luoghi liberati, dei quali però non si rileva traccia nella narrazione ufficiale. Il contropotere prende forma nelle istituzioni tipiche della democrazia diretta, basate su determinati valori, quali la convivialità, l’unanimità, la prosperità, la bellezza, la gratuità.
E' ineluttabile che la dove esista un alto livello di disuguaglianza, tali valori assumano di per se valenza rivoluzionaria.
Un’azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel contempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali. Le lotte contro le disuguaglianze tra Nord e Sud, le lotte contro il lavoro in quanto relazione di dominio, la negazione dell'autoritarismo, la resistenza alle regole imposte dalla società mercantile, l'affermazione della democrazia diretta sono i pilastri su cui si fondano le libere e autonome municipalità libertarie.
Molto c'è da imparare osservando il resto del mondo, in Sudafrica e in India vediamo conclavi dove si afferma la pratica della democrazia diretta, così come fra i ribelli del Chiapas, la nozione e le esperienze di gruppi di affinità arriva dalla Spagna e dall’America Latina, e ancora le molteplici esperienze, spesso duramente represse, del grande movimento mondiale che sta occupando frammenti di territorio nelle varie città del mondo globalizzato.

BAKUNIN E LO STATO

Abolizione dello Stato e di ogni forma di autorità, critica al socialismo di Stato, ripensamento del processo di industrializzazione e valorizzazione delle forze sociali da sempre emarginate, liberazione dell'uomo: sono i principi del pensiero bakuniniano. La polizia, le carceri, l'esercito, la magistratura sono i nemici dell'individuo poiché è attraverso essi che la borghesia capitalista si impone sul proletariato.
Lo Stato, scrive Bakunin, è "sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda.”
Egli critica la visione mazziniana dello Stato in quanto forma di teologia politica: il progetto rivoluzionario di Bakunin non consiste nella semplice divisione tra Stato e Chiesa, ma nel loro annullamento in quanto entità dominatrici sulle masse popolari.
Le strutture statali creano oppressione, sono contrarie alla natura dell'uomo che non può fare a meno di vivere insieme agli altri suoi simili, essendo un essere sociale. Bakunin mira alla costituzione del comune popolare, in cui ogni cittadino sia libero di esprimere se stesso e le proprie qualità, contribuendo al libero progresso della collettività.
Sono questi i principi che l'anarchico russo ha sottolineato nel 1866 a Ginevra, in occasione del Congresso Internazionale dei lavoratori: "Distruggere l'influenza di ogni dispotismo in Europa, mediante l'applicazione del diritto di ogni popolo, grande o piccolo, debole o potente, civile o non civile, di disporre di se stesso e di organizzare spontaneamente, dal basso in alto attraverso la via di una completa libertà, al di fuori d'ogni influenza e d'ogni pretesa politica o diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato, imposta dall'alto in basso, da un'autorità qualunque, sia collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e non accettando per basi e per leggi che i principi della democrazia socialista, della giustizia e solidarietà internazionale".

ROVESCIARE LA PROSPETTIVA DEL MONDO

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto. Si mantiene anche, ma non solo, grazie alla comunicazione a senso unico, che riesce a celare alla meno peggio il vero fulcro del dominio quale è il monopolio della violenza da parte dello stato. 
Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.
Come liberarci da questa falsificazione e garantirci che non si ripresenti per l'ennesima volta in nuove forme?
Non esistono sistemi che garantiscano la libertà di tutti se si propongono di cominciare col toglierla a qualcuno....
Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.
Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.
La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.
La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.
L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.
Come direbbe qualcuno: l'umanità soggettiva si nutre di un sogno che deve soltanto arrivare alla coscienza per diventare realtà.
La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere. 
Se anche non riusciremo a rovesciare la prospettiva del mondo avremo avuto ancora una volta il piacere concreto di averci provato.

giovedì 1 dicembre 2011

Il tempo sotratto

Il compito che ci attende nel prossimo futuro sarà quello di provare a stimolare forme di vita dentro e oltre la crisi. Se ciò non avverrà, allora l'egoismo, il risentimento e l'odio potranno organizzarsi nuovamente in guerra: guerra fra i popoli, guerra all'interno dei popoli, guerra fra le diversità. 
Milioni di persone hanno creduto in questi decenni che la somma di lavoro e sacrificio avrebbe ripagato prima o poi con la ricchezza economica il tempo sottratto a se stessi, ai propri affetti, alle proprie relazioni, ai propri desideri, alla vita reale in definitiva.
Nel momento in cui il il capitalismo non sarà  più in grado di garantire la promessa di ricchezza economica in cambio di miseria affettiva e psichica, le variabili emotive che si metteranno in moto saranno davvero imprevedibili. 
E' qui che l'azione politica deve collocarsi ai margini di un processo di dissoluzione delle vecchie forme di società.
Nessuna rivoluzione ha infatti mai inventato il "nuovo", poiché essa è sostanzialmente "processo", le rivoluzioni si sono sempre limitate -per così dire- a far emergere ciò che già esiste, in forma latente, nel corpo sociale e a consentire che ciò che prima languiva diventasse egemone.
Si tratta allora di sradicare una fede, una religione: quella dell'economia, del progresso, dello sviluppo lineare infinito, di rigettare il culto irrazionale e idolatra della crescita fine a se stessa, della centralità della merce e della subordinarietà dell'uomo.

CRITICA ALLA ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA

Considerando che l'unico fine di un'organizzazione rivoluzionaria è l'abolizione delle classi esistenti attraverso una via che non comporti una nuova divisione della società, definiamo rivoluzionaria ogni organizzazione che persegua con coerenza la realizzazione internazionale del potere assoluto dei Consigli operai così come è stato abbozzato dall'esperienza delle rivoluzioni proletarie di questo secolo. Una tale organizzazione presenta una critica unitaria del mondo, o non è niente. Con critica unitaria, intendiamo una critica pronunciata globalmente contro tutte le zone geografiche nelle quali si sono stabilite diverse forme di poteri socio-economici separati, e anche pronunciata globalmente contro tutti gli aspetti della vita.
Una tale organizzazione riconosce l'inizio e la fine del proprio programma nella totale decolonizzazione della vita quotidiana, pertanto non mira all'autogestione del mondo esistente da parte delle masse, ma alla sua ininterrotta trasformazione. Porta in sé la critica radicale dell'economia politica, il superamento della merce e del lavoro salariato. Una tale organizzazione rifiuta ogni riproduzione al proprio interno delle condizioni gerarchiche del mondo dominante. L'unico limite della partecipazione alla sua totale democrazia sta nel riconoscimento e nell'appropriazione da parte di tutti i suoi membri della coerenza della sua critica: questa coerenza deve essere nella teoria critica propriamente detta, e nel rapporto tra questa teoria e l'attività pratica. 
Essa critica radicalmente ogni ideologia in quanto potere separato delle idee e idee del potere separato. È quindi al contempo la negazione di ogni sopravvivenza della religione, e dell'attuale spettacolo sociale che, dall'informazione alla cultura di massa, monopolizza ogni comunicazione degli uomini attorno alla ricezione unilaterale delle immagini della loro attività alienata. Dissolve ogni «ideologia rivoluzionaria» smascherandola come ratifica del fallimento del progetto rivoluzionario, come proprietà privata di nuovi specialisti del potere, come impostura di una nuova rappresentazione che si erge al di sopra della vita reale proletarizzata.
La categoria della totalità è il giudizio ultimo dell'organizzazione rivoluzionaria, questa è infine una critica della politica. 
Deve mirare esplicitamente, con la vittoria, alla propria fine in quanto organizzazione separata.