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mercoledì 22 giugno 2011

Kropotkin: la Rivoluzione Sociale

La rivoluzione sociale non può che essere radicale, dunque occorre che si svolga in un breve lasso di tempo. Il suo scopo consiste nel restituire alle masse popolari tutta la ricchezza sociale esistente, non soltanto quella relativa alla sfera della produzione, ma anche quella pertinente al consumo.
L'espropriazione deve comprendere tutto ciò che permette a chicchesia - banchiere, industriale o coltivatore - di appropriarsi del lavoro altrui. In altri termini, la rivoluzione ha il compito di far ritornare alla collettività l'insieme materiale dei mezzi dello sfruttamento. Poiché l'espropriazione costituisce il momento decisivo della rivoluzione, ne deriva che se fosse fatta a metà risulterebbe controproducente perché provocherebbe soltanto un formidabile scompiglio nella società e una sospensione delle sue funzioni, non appagherebbe
nessuno, seminerebbe il malcontento generale e apporterebbe fatalmente il trionfo della reazione. Quindi il giorno che si colpirà la proprietà privata in una qualunque delle sue forme si sarà costretti a colpirla in tutte le altre.
L'espropriazione immediata e generalizzata permette di perseguire due finalità: dà la possibilità alle classi sfruttate di godere, fin da subito di una certa "agiatezza”, guadagnandole in tal modo alla causa rivoluzionaria; eleva il protagonismo popolare alla sua massima capacità, mentre pone in secondo piano l'azione del rivoluzionarismo politico «che le baionette giacobine non vengano ad interporsi; che i cosiddetti teorici scientifici non vengano a confonder nulla»

L’INFORMAZIONE NEGATA

La realtà è quella che si decide che sia, non quella che è.

Noi ci atteniamo alle forme morali e condizionali della libertà, mentre chi ha il potere di determinare la natura delle categorie di interpretazione del reale giunge sino alla forma incondizionale, parodistica, parossistica, di liberazione dell'immagine, di liberazione attraverso l'immagine. Non si vede perché l'immagine, una volta liberata, non dovrebbe avere il diritto di mentire. E' anzi probabilmente questa una delle sue funzioni vitali, ed è ingenuo pensare che si è liberata a profitto della verità.
L’immagine, e con essa l'informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non è più la sovrapposizione di beni, ma l'eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente "la società dell'informazione in una società afasicà”, sempre più incapace di parlare.
Il flusso incessantemente in crescita delle informazioni nel sociale instaura quindi il dominio di una forma circolatoria pura, votata radicalmente alla circolazione forzata e sempre più ravvicinata delle informazioni.
La comunicazione non si basa necessariamente sull'informazione, ma costituisce una dimensione a sé; è il puro collegamento, il contatto, tutte quelle forme di combinatoria relazionale che non hanno bisogno di messaggio. L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da "dire".
Nell'informazione e nella comunicazione, il valore del messaggio è quello della sua circolazione pura, del fatto stesso che esso passa da immagine a immagine, da schermo a schermo.
L'informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.

giovedì 16 giugno 2011

LA CITTA' LIBERATA

La partecipazione in prima persona e l'azione diretta più o meno pacifica con l'apporto di una diversa consapevolezza, capace di modificare e rendere più intense le relazioni tra le persone, guidano l'iniziativa su una scala territoriale forse più limitata, ma più incisiva.

Rimettersi alle istituzioni significa accettare che ogni scelta urbanistica fatta e gestita dal ceto politico in nome della collettività e del bene comune si trasformi ineluttabilmente in un ulteriore impoverimento delle libertà dei singoli.
Si creano gruppi di individui disponibili a mettersi in gioco, in modo anche molto radicale, su problemi concreti e circoscritti, riguardanti il proprio territorio e la vivibilità quotidiana.
Aria, tempo, spazio, piacere, terra, cibo sono sempre più motivo di conflitti e rivendicazioni.
La loro mancanza, il loro degrado, l'impossibilità di goderne liberamente stanno rimodellando velocemente i valori, le idee, le paure, le prospettive e con esse i modi e le ragioni stesse del fare politica.
Sono queste le persone che possono reagire e resistere, perché impostano la lotta contro la privatizzazione e la mercificazione dello spazio come lotta frontale, non necessariamente violenta, ma certamente coerente con il proprio sentire, autorganizzata e solidaristica, orientata a ottenere risultati tangibili e immediati in situazioni che valorizzino le caratteristiche di ognuno, rendano  possibile e migliorino la qualità sociale. Sono le persone che hanno intuito che né il mercato né lo Stato agiscono per l'interesse collettivo tanto meno per quello dei singoli e che si stanno orientando verso modelli che li ridimensionano o li escludono.
Per loro affidarsi al mercato significa rendersi partecipi della trasformazione delle città in centri commerciali o musei a cielo aperto e chi la abita in polli in allevamento da far sopravvivere in una gabbia luccicante. Così, in modo più o meno radicale, contro il mercato praticano l'autoproduzione, la riutilizzazione dei materiali, l'autocostruzione, il baratto e il mutuo appoggio organizzato.
Introducono il dono nei rapporti di scambio tra le persone; si associano in gruppi di acquisto, in attesa, magari, di potersi organizzare autonomamente creando orti collettivi in città o  nelle sue vicinanze. Così, si oppongono alla speculazione edilizia, alla costruzione di edifici che trasformano la città in uno spazio espositivo per il marketing pubblicitario di banche e multinazionali, a infrastrutture ingombranti e inutili.
Sono le persone che occupano le case abbandonate per abitarci o condividerne gli spazi con chi vuol frequentarle. Utilizzano le strade, i marciapiedi, le piazze, i muri, i parchi al di là delle convenzioni e dei regolamenti sottraendole anche solo momentaneamente alle automobili, a un’estetica mediocre, a una tristezza uniforme.
I partiti e le istituzioni amministrative non possono rappresentare l'interesse pubblico perché fanno parte del sistema, perché rappresentano essi stessi interessi privati e perché sono strumenti avversi alla formazione di meccanismi di decisione collettivi e alla mobilitazione.
Non devono mai affidare la loro volontà a rappresentanti non eletti e non revocabili, né permettere la specializzazione  politica: devono escludere i dirigenti.
In questo consiste l'autorganizzazione.
Non cedere alle prevaricazioni né alla seduzione. Il suo obiettivo irrinunciabile deve essere la liberazione del territorio dagli imperativi del mercato, e ciò significa farla finita con il territorio inteso come territorio dell'economia. Deve stabilire un rapporto di rispetto tra l'uomo e la natura, senza intermediari.
In definitiva si tratta di ricostruire il territorio, non di amministrarne la distruzione.
Questo compito spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l'unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall'autogestione territoriale generalizzata cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie.

DEATH politica

Siede arbitro il Caos, e con le sue decisioni raddoppia, ancora il contrasto per il quale regna; presso a lui governa supremo il Caso.”

Nella scena politica degli ultimi due secoli é essenziale almeno aver corso il rischio di essere ucciso o di uccidere. Nella nostra civiltà politica, la scena, la morte, il pensiero e il sangue sono strettamente congiunti; dove l'azione storica ha bisogno di essere azione scenica per avere senso e azione violenta per essere creduta reale. Ha bisogno di essere scenica, cioè di ripetere un modello, di riatualizzare un mito, di recitare un testo, perché pretende di creare al di sopra della società reale, una società ideologica, una società di pensiero, una società razionale, basata sul consenso, sull‘opinione pubblica, sulla socializzazione del sapere; ma appunto perciò nello stesso momento non può darsi soltanto e semplicemente come rappresentazione, come scena, come spettacolo, senza cadere nella farsa, ed é costretta a mantenere questa finzione con la morte, e nei casi estremi con il terrore. Quindi la politica si fonda su un atto "criminale" (il regicidio, la resistenza, la rivoluzione); questo perché il crimine moderno non esiste separato dalla politica, ma ne cerca la protezione almeno quanto la politica cerca la spregiudicatezza. La politica é il delitto, esattamente come il delitto é politico.
(Archivio Bodos)

giovedì 9 giugno 2011

ORTI CITTADINI

Anche il giardiniere per hobby ha aggiunto una fetta di libertà alla vita, semplicemente tramite l’esperienza diretta del coltivare, annusare, assaggiare. Ma il giardiniere politicamente cosciente fa di più. Comprendendo l’orto e il giardino non solo come sorta di zona autonoma, ma anche come azione di resistenza, l’avant-giardiniere alza il tiro, aggiunge senso all’azione, stabilisce uno standard e si unisce deliberatamente ad altri in una causa comune. Se esiste una “via” spirituale nel giardinaggio, come pure un elemento artistico, allora esiste anche una dimensione politica, un livello di consapevolezza e una linea d’azione chiara.

(...) Visto che ho ammesso di avere le visioni, tanto vale che provi anche a fare una profezia. La cultura radicale che emergerà nel prossimo futuro si concentrerà sui valori e sulle esperienze dei cacciatori, dei raccoglitori, dei giardinieri e dei liberi contadini nelle «zone escluse», destinate all’incuria o al semplice esproprio da parte del Capitale. Questa cultura coinvolgerà un forte movimento neosciamanico a un livello molto più vasto e popolare di adesso. Contaminerà le persone che desiderano resistere al Capitale in tutto il mondo, compresi molti dei veri produttori (cioè l’ex «classe lavoratrice»), oltre a tutti gli emarginati, i militanti orfani, i piccoli agricoltori, gli ambientalisti, la gioventù disincantata, i filosofi gastrosofi e gli avant-giardinieri d’Europa, d’America e delle altre «zone incluse». Il giardinaggio emergerà tra le importanti forze economiche di questa resistenza, ma anche come punto focale culturale. Se ci sarà una guerra agli zaibatsu (che sia violenta o no), si combatterà in parte per una causa che è al contempo simbolo e sostanza della realtà raffigurata nell’atto stesso della resistenza: il giardino, l’orto. Coltiva il tuo mondo.

PER UNA GEOGRAFIA ANARCHICA

L'analisi dell' interazione fra spazio e tempo porta Reclus alla formulazione di una geografia globale che vuole essere un sapere volto alla delineazione di una geograficità e di una geopoliticità.
I termini ideologicamente anarchici del relativismo e del pluralismo si traducono perciò nei cardini metodologici di un' indagine a tutto campo. Questa sviluppa una scienza fisico-sociale che, tenendo conto dell'interazione fra spazio e tempo, fra realtà naturale ed evoluzione umana, fra determinismo geografico e relativismo storico, conclude che «nei suoi rapporti con l'Uomo, la Geografia non è altro che la Storia nello Spazio, così come la Storia è la Geografia nel tempo».

Il punto centrale. dunque, è ancora una volta il problema del potere, ovvero il problema dello Stato, ovvero il monopolio politico, militare, economico e sociale dello spazio. Il controllo dello spazio qualifica, in senso geopolitico, la potenza statale. In altri termini, lo Stato esiste perché ha il dominio in un determinato territorio. Lo spazio organizzato dallo Stato è la manifestazione tangibile e visibile della sedimentazione autoritaria della storia sulla natura.
Liberare lo spazio da questa innaturale sovrapposizione è il compito di una geografia che voglia essere anarchica. Natura contro storia significa spazio contro Stato, armonia tra uomo e natura significa, invece, spazio riconciliato con la storia. E questa è esattamente, per Reclus, la società anarchica: la riorganizzazione. senza autorità, dello spazio. La disarticolazione della logica gerarchica che irregimenta il territorio statale deve avvenire individuando i gangli politici, militari ed economici che costituiscono le basi stesse del "sistema nervoso" del dominio. Liberato lo spazio dalla sovrapposizione autoritaria dello Stato, e quindi dai suoi rapporti di forza del tutto innaturali, gli uomini dovranno organizzare la società secondo quella unica "legge" che legittima un'osservanza universale: la legge di natura.
Ma poiché. come abbiamo visto, la natura si modifica nel tempo a causa dell' azione umana (è, appunto, la Storia che interviene sullo spazio), allora occorre trovare una sintesi tra queste due istanze, sintesi capace di riportare il sociale all' interno del naturale.
La via indicata da Reclus parte dall' idea federalistica della aggregazione spontanea delle comunità umane.
In altri termini, lo spazio viene riorganizzato senza l'intervento dell' autorità perché gli uomini che vi abitano non hanno bisogno di coercizioni per vivere, visto che, «ad onta della violenza, la natura tende a rimettere ciascun popolo dentro i confini naturali». Confini, beninteso, che non hanno nulla a che fare con quelli rivendicati dalle varie culture nazionalistiche e patriottiche; questi confini, infatti non esistono in natura, come invece pretendono tali ideologie.

La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente,non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l'intima razionalità che pervade la necessità del tutto.

giovedì 2 giugno 2011

MDC (millions of dead cops)





I hate the work (odio il lavoro)
Lavoro lavoro lavoro
Non andrò mai a lavorare dalle 9 alle 5
Dì al signor capo che gli dico arrivederci
Non lavorerò più un giorno nella mia vita
Odio il lavoro, si lo odio
Odio il lavoro, e lo dovresti anche tu
Odio il lavoro, non sarò mai un impiegato
Odio il lavoro, non sarò un vostro automa
Non lavorerò mai in una fabbrica
Né suderò la mia vita in miseria
Il lavoro come sfruttamento non fa per me
Odio il lavoro, si lo odio
Odio il lavoro, e lo dovresti anche tu
Odio il lavoro, non sarò mai un impiegato
Odio il lavoro, non sarò un vostro automa
Lavoro, lavoro, butta via gli anni della tua vita
Lavoro, lavoro, non vedi mai la tua donna
Lavoro, lavoro, sudore e lacrime
Lavoro, lavoro, ho perso i miei anni
Odio il lavoro, si lo odio
Odio il lavoro, e lo dovresti anche tu
Odio il lavoro, non sarò mai un impiegato
Odio il lavoro, non sarò un vostro automa
Noi non faremo i tuoi lavori di merda
Noi non combatteremo le tue guerre puzzolenti
Noi non voteremo alle vostre elezioni
Guardateci bene, noi siamo il vostro riflesso.